Partimmo così da Srinagar con un piccolo van verso le montagne.

Sette posti nel veicolo, otto persone a bordo più zaini tende e viveri, più sosta a metà strada per far salire un ometto piccolo piccolo con le gambe storte che sarebbe stato il nostro sherpa durante il trekking.

Ricordo le strade strette scavate sui fianchi delle montagne, sul lato esterno baratri di centinaia di metri.

Guardando dal finestrino sul quale ero praticamente spalmato, in prossimità delle curve di tanto in tanto vedevo laggiù carcasse di veicoli arrugginite a ricordarmi che una manciata di centimetri in più sulla sinistra ci avrebbe inevitabilmente riservato lo stesso destino.

Paura? Naturalmente sì, ma quello scenario fatto di montagne così imponenti e selvagge, alle porte della catena montuosa più grande del mondo mi avvolgeva in un abbraccio nel quale non potevo far altro che abbandonarmi.

Ed è proprio l’abbandono il tema centrale del mio vivere quei giorni. Pensavo a casa, e a quanto fossi irrimediabilmente lontano.

La notte guardavo la luna, la stessa che a volte entrava dalla finestra della mia stanza in Italia. Ma non proprio la stessa. Era qualcosa di più, come il resto del cielo che la circondava.

E l’acqua era qualcosa di più, e il fuoco intorno al quale ci sedevamo la sera per scaldarsi dal freddo, sorseggiando non so cosa.

Con i sensi acutizzati da tutta questa meraviglia e il cuore che esplodeva (complice la quota), non riuscivo a immaginare una minaccia che potesse superare la bellezza del mondo di cui ero rispettoso ospite.

Ho trascorso il mio trentesimo compleanno lassù. Si dice che il giorno dei trent’anni sia un “turning point” che separa il ragazzo dall’uomo che ormai obbligatoriamente sei diventato. Cazzate.

E’ solo un numero. Quello che il mio cuore non dimentica è che non dissi niente ai miei compagni, ma la sera in tenda trovai la luce di una candela di quelle bianche da processione piantata su una crostatina confezionata con accanto un biglietto d’auguri scritto a matita che iniziava con “Sonamarg, 27 Agosto 2012…”.

Credo sia questo il posto migliore dove vivere: il posto dove la razionalità tramonta presto, la mente si acquieta e il cuore sorge luminoso nel cielo. Non l’Himalaya, non c’è neanche un albero lassù in cima! 

Didje Doo

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