Qual è stata la doccia più bella della tua vita? Ci hai mai pensato? Io so qual è la mia, ma se non fossi mai uscito dalla mia comfort zone, probabilmente non avrei mai fatto caso a una cosa così banale. Ora conosco il valore di una doccia.

Ma cominciamo dall’inizio. Ci troviamo a Santa Juliana, nel sud di Luzon, Filippine.

Non c’è granché da fare o da vedere, anzi è una zona un po’ malandata. Il motivo per cui siamo qui è legato all’ascesa del monte Pinatubo, della quale un giorno racconterò.

Il piano ora è quello di raggiungere Banaue, nel cuore della Cordillera, ma da qui non è un percorso così lineare.

Il primo passo è prendere un triciclo che ci porti alla città più vicina. Il triciclo è il mezzo di trasporto più easy che si può trovare nelle Filippine, e talvolta l’unico.

Si tratta di una motocicletta alla quale viene applicato una specie di sidecar a misura di asiatico. Piccolissimo.

In circa quarantacinque minuti arriviamo a Capas e da qui un jeepney in un’ora ci porta a Tarlac, dove potremo salire su un bus per Baguio, penultima tappa del viaggio.

Il jeepney è un altro tipico mezzo pubblico filippino. Un “capolavoro” di artigianato meccanico, più puzzolente del camion di mio nonno nell’85.

Immaginate di prendere un fuoristrada e tirarlo finché non si allunga come un pullman. Poi decoratelo e arricchitelo a piacimento come se fosse una Harley Davidson super tamarra. Ecco fatto il jeepney.

La cosa più bella di questa esperienza è vedere che su quelle panche i passeggeri, perfetti sconosciuti, formano una comunità vera e propria.

Ci si aiuta a caricare e scaricare i bagagli, e ci si passa di mano in mano i soldi del biglietto fino a farli arrivare all’autista, con eventuale movimento di ritorno nel caso ci sia da fare il resto.

Arrivati nei pressi della stazione dei bus di Tarlac ecco il primo intoppo: le corse per Baguio sono frequenti, ma non c’è un posto libero nemmeno a piangere.

Dopo il quarto bus che vediamo ripartire senza di noi, decidiamo di salire comunque sul prossimo viaggiando in piedi per circa un’ora e mezzo prima che si liberi un sedile.

È un mezzo vecchio e scassato e da quanto cigola se chiudo gli occhi mi sembra di stare in una voliera.

I bambini piangono, uno vomita, un uomo russa, una ragazza mangia maiale in brodo da un vasetto di plastica, una madre allatta il figlio al seno.

Umanità a 360 gradi, e Dio solo sa che per vivere tra gli umani ci vuole stomaco.

C’è un traffico enorme e quando il bus arriva finalmente a Baguio sono passate più o meno sei ore. Sono ormai le dieci e un quarto di sera e la coincidenza per la meta finale se n’è andata da un pezzo.

Nauseato e stanco mi ritrovo in una città caotica e con tassi di inquinamento da smog altissimi. L’unica è trascorrere li la notte e riprovare la mattina dopo.

Da una parte aver perso la coincidenza è stata una benedizione, perché non credo che avrei retto altrettante ore di viaggio in bus.

La mia complice, che ha una dote incredibile nel trovare alloggi fantastici a prezzi bassi, prenota al volo un albergo vero, di quelli con la moquette, lo sciacquone e la doccia privata.

Lo smog che respiro amplifica la mia nausea e quando penso agli abitanti di questa città, ai bambini costretti a crescere e passar la vita respirando li mi sento male.

Vorremmo andarci in taxi per evitare di camminare in quella camera a gas, ma è più complicato del previsto e allora zaini in spalla e via con Google Maps.

Ecco, è proprio qui, a Baguio, nella stanza 319 dell’hotel “El Cielito” che ho fatto la doccia più bella della mia vita.

Ringrazio Dio per questa giornata e l’Arianna per l’acqua calda e la moquette.

Didje Doo

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