Sono appena finite quasi tutte le partite della domenica e le nostre dirette concorrenti per la lotta alla salvezza hanno tutte migliorato la propria situazione.

Come nostro solito, facciamo un piccolo miglioramento e subito dopo un brusco passo indietro. E da ora in poi le cose si fanno ancora più difficili.

Qualcuno mollerà (Crotone?), tutti gli altri invece saranno ancor più duri da battere, un classico nel nostro campionato dove il valore tecnico medio starà pur crollando ma dove il tatticismo e l’eterna difficoltà nel battere le squadre che lottano per la salvezza nel girone di ritorno sono capisaldi che non tramonteranno mai.

Il mio pallido ottimismo dell’ultimo periodo può quindi serenamente ritornare da dove era venuto.

L’Inter ha ucciso la partita fin da subito, palesando un divario con i nostri francamente deprimente.

Nessuno si aspettava di vincere, ma visti gli ultimi piccoli progressi quantomeno di competere sì.

Certo che mancavano Milenkovic, Castrovilli e Ribery; certo che Prandelli ha deciso di inserire come titolari Eysseric e Borja Valero regalando il centrocampo agli avversari; ma è altrettanto vero che come li ha tolti provando delle alternative le cose sono andate addirittura peggio consegnando agli almanacchi uno dei secondi tempi più incolori e tristi dell’intero campionato.

Queste partite possono considerarsi utili solo al contemporaneo soddisfarsi di questi due accadimenti futuri: che la Fiorentina non retroceda e che Rocco Commisso esca dallo stadio schifato quanto noi e che non voglia più sentire questo orrendo retrogusto di impotenza e di tristezza.

Non è il giorno giusto per richiamare all’ordine il nostro presidente e chiedergli di investire meglio sul campo, però sarà bene che questo concetto rimbombi ovunque in continuazione perché continuare a lottare per la salvezza anno dopo anno per altro con rischi di retrocessione gradualmente maggiori non è quanto ci è stato promesso.

Non è il giorno giusto dicevo, perché sabato 5 febbraio il signor Rocco Commisso è definitivamente entrato nella storia del nostro club e dalla porta principale.

La prima pietra (in realtà trattasi di un simbolico primo albero) è stata posta, la Fiorentina nel giro di poco più di un anno sarà proprietaria di uno dei centri sportivi più grandi e funzionali d’Europa, un gioiello che la proietterà improvvisamente ai vertici mondiali a livello di infrastrutture dopo esserne stata per quasi sempre all’opposto.

Un regalo eccezionale, da oltre 70 milioni di euro.

Rendiamoci conto che questo signore nel giro dei due anni più tragici economicamente parlando dell’ultimo mezzo secolo si è speso oltre 200 milioni di euro regalando a noi e ai nostri figli una struttura polivalente che porterà benefici, punti e lustro perpetuo ai nostri colori (senza minimamente pensare al denaro speso per stipendi e nuovi acquisti).

C’è solo da dirgli un “grazie” grande quanto una casa ma soprattutto c’è da offendere pesantemente chi non perde occasione per criticarlo in modo indegno “perché non spende”, forse solo perché figlio di un “leccavallismo” mai sopito, chi lo sa.

Commisso meriterebbe delle critiche per il suo egocentrismo, per il suo rivolgersi alla stampa in modo assurdo e sguaiato, per non aver strutturato la società con persone capaci, per aver speso molto male i propri soldi sul mercato.

Ma non dimentichiamo che in questo momento in cui la Juve si ritrova con centinaia di milioni di euro di debiti, in cui l’Inter rischia il fallimento se non riesce a cambiare nuovamente proprietà, dove il Milan è posseduto da un fondo fiduciario che fa capo a non si sa chi, avere un presidente ricco e che non si vergogni a spendere è un punto di partenza quasi unico in tutta la Serie A, che dobbiamo coltivare col massimo dell’amore possibile.

I soldi non permettono tutto, non sono tutto.

Ma aiutano.

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