Eviterei troppo di dilungarmi sulla sconfitta contro il Parma.

Del resto, loro sono una squadra con un attaccante e un buon mister, noi una rappresentativa con qualche tizio di classe e un avvocato d’ufficio come allenatore.

Naturale che la palla l’avessimo sempre noi, senza sapere cosa farci.

Altrettanto naturale che quando la prendevano loro sapessero sempre come metterci in difficoltà.

Siamo ri-dodicesimi dunque, ma basta poco per salire o scendere.

Mi occuperei del Genoa, che incontreremo tra poche ore.

Una partita che non ha la minima importanza.

Loro sono tutti intenti nel perfezionare i nuovi meccanismi di sua maestà Cesare, noi impegnatissimi nel fare un passo avanti e due indietro.

Giusto quel che serve per alimentare le nostre ridicole discussioni tra “Dellavalliani” e “rosiconi”, oramai l’unica cosa che ci è rimasta.

Saremo per la prima volta della nostra storia contro Cesare Prandelli, dunque. Direi che questo è sicuramente l’unico aspetto importante di questo match.

Uno che con Natali, Kroldrup, De Silvestri, Bolatti, Donadel, Comotto, Montolivo e Gobbi ci ha fatto vincere 6 partite su 8 in Champions, compresa una trasferta di Liverpool e un doppio furto con un Bayern Monaco che all’epoca faceva spavento.

Un signore che mi ha reso orgoglioso della maglia come da anni non mi sentivo, un uomo per bene che ha lavorato con impegno e professionalità mai più riviste a Firenze, per me un vero e proprio mito.

E la mia Firenze è così confusa a tal punto da non essere unita neanche su un uomo come lui.

Quando nel 2014 non chiamò Rossi in nazionale per il mondiale e mezza città, forse di più, lo infamò all’inverosimile. O quando addirittura qualche anno addietro qualcuno si bevve la colossale balla di un suo accordo segreto con la Juve con firme già depositate.

Il tempo poi è stato galantuomo e lui si è sempre rivolto a noi come un padre farebbe coi propri figli, con educazione e fermezza, nonostante i suoi fallimenti arrivati dopo quel maledetto mondiale titillassero ancora le lingue di quei miserabili che lo chiamavano “Perdelli”.

Uno che non ha mai cambiato casa, un abbonato di tribuna. Un nostro tifoso, nonostante tutto e tutti.

Adesso Cesare ha l’occasione di riprendere la sua carriera in mano e si troverà di fronte una squadra che non è neanche lontana parente della meravigliosa corazzata che lui costruì assieme ad un Pantaleo Corvino allora stratosferico, quando ancora lavorava a 360° e non aveva obblighi meramente finanziari come invece ha adesso.

Quando Firenze era un’attrattiva per tutti e non un club dove neanche giocatori come Izzo se la sentono di venire.

Pantaleo che portava in poche ore a casa gente come Frey, Toni, Mutu, Gilardino, Vargas. Quando una finalità sportiva c’era e voi oramai ve ne siete dimenticati.

Come abbiamo fatto a permettere tutto questo, io davvero non lo so.

Non farci troppo male, Cesare.

Dario Del Gobbo

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