C’era una volta Firenze.

Una città di critici perenni, di presuntuosi, divisiva su qualsiasi argomento, sanguigna, passionale. Chiunque criticava chiunque, che tu avessi dato lustro alla città o che tu fossi l’ultimo degli ultimi avevi sempre qualcuno addosso pronto a dire la sua.

Niente riusciva a scalfire questa natura, dal Rinascimento a quando diventava Capitale d’Italia qua c’era sempre agitazione.

Anche nel calcio è sempre stato così, proprio ieri mi raccontavano di come il povero Ugo Ferrante l’anno dopo lo scudetto venisse preso di mira per un paio di partite giocate un po’ peggio… . Pensate, il difensore della Fiorentina con lo scudetto sul petto che veniva fischiato dai propri tifosi… .

Ricordo come Vittorio veniva offeso pesantemente perché a gennaio ci portava Ficini nonostante avessimo gli attaccanti titolari di Argentina e Brasile in avanti e la mezza punta del Portogallo subito dietro… .

Ma là dove la storia e il tempo non riuscirono ad avere la meglio su di un popolo burbero come il nostro, affondò come un coltello caldo nel burro la famiglia Della Valle.

Dopo la tragedia della fine della Fiorentina dei Cecchi Gori arrivarono loro garantendoci un futuro roseo e vedovi del passato straordinario che avevamo appena vissuto gli lasciammo dominare i nostri animi.

Fu così che dopo tanti anni ci ritrovammo a fare i ragionieri ed a giustificare le ripetute cessioni dei nostri migliori giocatori nel nome del bene economico finanziario di un’azienda che sarebbe nostra per appartenenza, non certo per la suddivisione degli eventuali utili. Anzi.

Furono una decina di anni molto belli, senza trofei ma con grandi giocatori e grandi vittorie, grandi partite internazionali e momenti di gioco indimenticabili.

Ma come tutte le cose del mondo anche i cicli finiscono e quello dei Della Valle finì in un modo inedito ovvero con una Firenze unita contro un nemico comune come forse non era mai stata nella sua storia.

I Della Valle svuotarono totalmente la rosa di qualsiasi elemento di valore o di passione rendendola un bocconcino finanziario perfetto pronto per la cessione.

Non restò quindi che attendere il peggior offerente possibile in modo che qualcuno poi potesse rivalutare positivamente anche la loro devastante gestione, senza alcun dubbio la peggiore di sempre.

Commisso fu dunque l’uomo giusto al momento giusto.

E proprio da lui parte questa grottesca escalation del niente assoluto, per altro non criticabile.

Perché i proprietari (e che proprietari, gente da oltre 7 miliardi di dollari di patrimonio personale eh, non noccioline) non si trovano a tutti gli angoli e perché quelli di prima li abbiamo appena mandati a casa e quindi con questi ci dobbiamo andare piano e dobbiamo essere comprensivi.

E poi non dimentichiamo che lo stadio non lo faranno e potremo facilmente dare la colpa alla politica, ma il centro sportivo sì e quello rimarrà per sempre. Non sarà un trofeo ma potremo sempre avere quello come alibi per averlo sostenuto anche un giorno di troppo.

E da qui, nell’alveo del silenzio assenso, nasce l’abisso.

E pazienza se dai fiumi limpidi dall’acqua gelida di Moena finiremo nella verde acqua dell’Arno all’altezza della Rufina, magari Nico Gonzalez – se non si farà male a scendere sulle rive – potrà pescare un bel pescegatto ingrassato.

E poi anche qua in Toscana abbiamo delle belle montagne, che saranno mai queste Dolomiti e a che servono, non certo per giocare a calcio.

E pazienza se al posto di uno dei migliori giovani centravanti al mondo siamo finiti a far giocare l’amichetto del procuratore o se con un pacco di soldi abbiamo preso l’unico brasiliano che non sa palleggiare. Meglio loro di un “gobbo”, nevvero?

E pazienza se l’allenatore avrebbe voluto altri giocatori, col procuratore giusto e un’aggiustatina al contratto gli andranno bene d’improvviso tutte le scelte dirigenziali che fino al giorno prima non avrebbe avallato.

E pazienza se l’unica nostra ambizione adesso potrà essere l’ottavo posto, o il settimo se qualcuna davanti si suicida sportivamente.

Tanto se per caso un anno siamo in lotta per qualcosa l’unico pensiero qui è trovare l’alibi giusto per raccontare al popolino silente il perché si è dovuto vendere il capocannoniere proprio alla solita e per giunta a gennaio, in tutta fretta.

E pazienza se poi si susseguono dichiarazioni folli tese a screditare la salute di quel giocatore o la professionalità dell’altro, perché poi basterà riversare la colpa sui giornalisti e questi qua oramai si bevono tutto.

L’importante sarà dar contro a chi critica, reo di aver fatto arrabbiare questo o quell’altro potente di turno. Che al giorno d’oggi vuol venire a speculare o a gestire una sua proprietà e lo vuole fare senza rotture di coglioni, persino se si tratta di gente che scrive per diletto.

Una volta Firenze esiliava Dante o criticava Ferrante, con lo scudetto sul petto.

Oggi si augura che arrivi un bel centrocampista dalla Sampdoria al solo scopo di poterti dire che lui non critica, che lui la ama. E che lui è meglio di te.

E te lo dice sorseggiando un bel calice di piscio, rigorosamente fresco, di frigo.

Spacciato per un ottimo Chardonnay che è liscio solo perché si è sgasato. Perché lo ha aperto ieri, forse ieri l’altro.

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