No, non ho mai sognato di essere un giorno Gianni Mura, come non ho mai sognato di essere Gianni Brera.

Perché uno mica può pensare di diventare Messi o Cristiano Ronaldo: ha bisogno di fare i conti con modelli più realistici e vicini a sé.

Eppure ho letto tanto di tutti e due, sapendo proprio che erano inimitabili inavvicinabili irraggiungibili, nel pensiero e nella forma.

Perché, pur consci che un foglio di giornale dura giusto qualche ora (poi diventa buono per incartare l’insalata), loro scrivevano con la stessa arte di chi, secoli e secoli fa, ha scritto i poemi omerici.

Il primo Gianni è morto troppo presto e l’ho letto solo a posteriori (uno dei primi libri comprati coi miei soldi al ginnasio è stata la sua raccolta del suo “Arcimatto” sul Guerino Sportivo).

Il secondo è stato una presenza più concreta: uno che cospargeva di sport anche un giornale inizialmente così snob e refrattario all’argomento come Repubblica.

Di lui, di loro – perché in fondo, pur diversi, erano uno emanazione dell’altro, figure fuori dal tempo e dallo spazio del giornalismo di oggi – mi piaceva che non avessero bisogno della giacca e cravatta per essere credibili. Anzi. Gli bastavano i polpastrelli (Mura usava prevalentemente la Olivetti lettera 32) e la grammatica italiana.

E hanno incarnato per me, e penso per ognuno che abbia la superbia di mettersi davanti a una tastiera, il modello di giornalista (non solo sportivo): poca forma, tanta sostanza, un sacco di disincatata poesia.

E poi, per dare un po’ di colore, sigaretti, sigari e bottiglie di lambrusco o di barolo.

Buone letture, la capacità di mescolare l’alto col basso, l’umiltà di guardare la Storie e le storie da bordocampo o a bordo pista. Che fosse per scrivere di calcio, di ciclismo o di cucina. Che poi sono tre ambiti per dire semplicemente “vita”.

Anche adesso in un giornalismo profondamente cambiato e ormai quasi irriconoscibile rispetto ai “suoi” e ai “loro” tempi. Quello di oggi, spesso sciatto, malpagato, di corsa, per sentito dire.

Nel suo ultimo “Sette giorni di cattivi pensieri”, la sua rubrica settimanale di riflessioni sparse sullo sport, domenica scorsa Gianni Mura aveva scritto questo: “La situazione che stiamo attraversando, però, permette di dire che gli imbecilli sono una minoranza e la brava gente una maggioranza. La parola buonismo è scomparsa, spero per sempre ma non m’illudo, e con forza ricompaiono solidarietà, doveri, responsabilità, unione, sacrifici. E sotto questo ombrello, difesa e coesione, ci stanno tante cose”.

Speriamo che abbia ragione lui.

Gabriele Fredianelli

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