Esco, per una volta, dal nostro ambito preferito (quello dello sport, del calcio dei dilettanti), per affrontare un tema che è molto “caldo” in questi giorni.

E perché, visto che ci occupiamo ogni giorno, ogni settimana, di calcio dilettanti, ovvero quello che va avanti per davvero solo con la passione, quando qualcuno che fa parte, prospera (legittimamente, per carità), in un altro di mondi, quello del calcio dei milioni, e però vuol far credere che sia (spesso) “contro”, allora un po’ di puntini (a mio modo di vedere) sono da rimettere sulle “i” giuste.

Si fa un gran parlare del calcio in Arabia Saudita. Dai Mondiali del Qatar prima e, ancor di più, da quando è iniziato l’esodo arabo (più che dorato) di tanti calciatori che giocavano in Europa.

Io ho sempre pensato, e penso tuttora, che non possa che essere una bolla di sapone.

E le avvisaglie si stanno già vedendo, con alcuni che iniziano a far le valigie e tornano indietro.

Perché a meno che non si guardi solo e soltanto al portafoglio, la competizione agonistica è surreale (ma lo sapevano prima di partire) e la vita in un Paese con regole molto stringenti (diciamo così) non è proprio come a Milano o Madrid (e questo, forse, i nostri “pargoli dorati” se lo aspettavano meno).

E poi, comunque, il calcio è (nonostante tutto) passione, socialità, tradizione e anche cultura. Cose che non si comprano.

Il tifo per la maglia, per la squadra del cuore, magari trasmesso dal babbo, dallo zio o dal fratello, è un qualcosa di profondo e radicato. Fa parte del Dna, europeo e sudamericano in primis. 

E non ce ne vedo molti (uso un eufemismo), di tifosi che si mettono sul divano a “godersi” Al Hilal contro Al-Nassr (e ho messo le prime due del campionato arabo, che ovviamente ho dovuto cercare su Google perché… le ignoravo).

In tutto questo, eccoci all’ennesima Supercoppa italiana giocata in quei lidi. E stavolta con la nuovo formula a quattro.

Una formula contro la quale ha “tuonato” Maurizio Sarri, allenatore della Lazio. Che, ho controllato, guadagna 3,5 milioni di euro netti a stagione. Quindi, per il suo datore di lavoro, circa 7 milioni lordi.

Verrebbe da chiedere, al signor Sarri, che in questo mondo (del calcio con ingaggi ipetrofici) vive e prospera da tempo, con un conto in banca che renderà sereni varie generazioni di Sarri, se (visto che è sempre così sollecito a fare il duro e puro) in quel del Valdarno gli hanno mai raccontato che si insegna dando l’esempio. O che non si sputa nel piatto in cui si mangia.

Quindi, delle due l’una: o si viva e si “pascola” in un mondo dorato, ma se ne accettano le regole (e per 3,5 milioni di euro l’anno – netti – le regole dicono che i soldi si pigliano dove sono) e non si fa il cosidetto “chiagni e fotti”; oppure se ne esce (e allora di può criticare a oltranza); oppure si dà l’esempio, e magari si rinnova al ribasso, dicendo che è un mondo che ha bisogno di passi indietro da parte degli addetti ai lavori. Facendolo per primo.

Quindi, così è se vi pare. Il calcio professionistico è questo, in particolare nel nostro Paese nel quale l’appeal economico del campionato non è quello dal football inglese, ad esempio (anche dal punto di vista dei diritti tv). 

Immaginate una società italiana che possa far finta di non vedere i 9 milioni di euro (!) che saranno assegnati a chi vince la Supercoppa in Arabia?

Io la Supercoppa la guarderò. Perché sono un tifoso. E perché quando c’è la squadra del mio cuore non ne posso fare a meno.

E in parte, pur essendo anche io nel mio piccolo dentro a questo grande Sistema (pagando un abbonamento a Dazn), potrò storcere un po’ più il naso rispetto ad altri… .

Detto ciò, caro Maurizio, se vuoi puoi tornare nel mondo di noi “normali”. Ti accogliamo a braccia aperte. E, da qui, lanciare le invettive che ti vengono in mente.

©RIPRODUZIONE RISERVATA