Il violino, lo strumento tradizionale, inconfondibile “distributore” di note che oltrepassano i Carpazi e ci trascinano nel mondo del circo, quello degli addestratori di cavalli.

E soprattutto all’interno del Campo, luogo d’incontro, fulcro che assume quasi un significato sacrale nella cultura delle tribù zingare, radunate a tarda sera intorno ai falò, intente a raccontare le storie degli avi o quelle di un presente non troppo roseo.

Là dove l’aria profuma di pane appena sfornato, di carne intenta a rosolare sulla brace ardente, là dove le grida dei bambini si mescolano agli schiamazzi delle oche e ai latrati dei cani e dove s’impara con indelebili cicatrici sulla pelle, la nobile arte, perché per saper boxare, bisogna avere un cuore puro.

“I pugni si danno, i pugni si prendono. Questa è la boxe. Questa è la vita”, diceva Primo Carnera.

Johan Trollmann è stato uno straordinario eroe dello sport, trent’ anni prima di Muhammad Alì – Cassius Clay, balla, schiva, poi s’ abbassa, danza con una frequenza di passi impressionante che i piedi non sembrano nemmeno toccare il ring e si ha la sensazione che sia sopraelevato da terra.

Poi prende la mira, calcola l’attimo e contemporaneamente la potenza del gancio, un colpo, uno solo, diretto all’ avversario che tramortito, piega le ginocchia e cade inerme sul quadrato.

“Rukelie” l’alberello, era un sinti l’etnia zingara che nella Germania di Hitler non avrebbe MAI avuto spazio e per questo perseguitata fino all’ estinzione.

Una trasposizione teatrale scritta in modo fluido, semplice ed elegante, uscita come per incanto, dalla penna di Francesco Mattonai, altrettanto bella, pregevole e convincente la prova di Mirko Batoni, Diego Conforti e Alessandra Niccolini, gli attori di un cast che in un’ora e mezzo ripercorre la carriera di un uomo dall’ascesa al declino e invitano lo spettatore alla riflessione su un tema duro e crudele allo stesso tempo e non può, non farsi travolgere dai capitoli del racconto e il susseguirsi dei fatti in più di un’occasione.

L’Olimpiade di Stoccolma sfuggita di mano non per demerito ma per colpa di una federazione e di un regime di regole ferree e assurde, i pugni presi e quelli soprattutto dati che permettono a Trollmann di avanzare nella credibilità di manager, allenatori e tifosi fino al confronto con avversari quotati e meno forti di GIBSY.

Campione di Germania, titolo che gli viene tolto una settimana dopo il successo contro Witt con una motivazione illogica quanto stupida, Trollmann piange di gioia, umanissimo dettaglio che porterà ad una persecuzione disumana che nasconde l’amara verità che non è tollerabile che uno zingaro batta un ariano.

L’obbligo di rimettere in gioco il titolo contro Eder sostenuto dalle squadriglie naziste e l’affronto alle SS una presentazione inaccettabile l’ingresso sul ring che degenera nel ridicolo, con il corpo interamente cosparso di farina e i capelli ossigenati, si lasciò battere.

GIBSY diventa IL PIU’ ARIANO TRA GLI ARIANI.

E’ la firma di una condanna a morte, il rifiuto di lasciare la Germania per mettersi in salvo lontano dalla guerra che incombe, il distacco da moglie e figlia alla stazione, la deportazione nel campo di sterminio di Neuengamme e l’ennesimo affronto, ormai ridotto pelle e ossa di continuare a combattere per il divertimento dei soldati di guardia.

Quella figura che ormai non aveva nemmeno le sembianze di un essere umano, non si arrese mai fino all’ultimo dei suoi giorni. trasferito nel lager di Wittemberge, affrontò Cornelius e lo mise al tappeto.

Il giorno seguente, la matricola 9841 fu trovata morta, nuda, con alle mani i soli guantoni da pugile, in mezzo al fango, ucciso a colpi di badile.

Ottant’anni dopo la federazione pugilistica tedesca ha riconosciuto a Trollmann il titolo di campione dei pesi medi, l’UOMO, che la maggioranza dei sostenitori ha continuato a chiamare RUKELIE l’alberello, CHE CON GRANDE DIGNITA’ HA COMBATTUTO E NON SI E’ MAI PIEGATO ALLA VOLONTA’ NAZISTA.

Roberto Checchi

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