Un giornale dell'epoca che raccontava il recupero, a Firenze, di Paolo Rossi

BAGNO A RIPOLI – Stefano Manneschi oggi è presidente della Blue Clinic, a Bagno a Ripoli. Professionista di spicco nel mondo della fisioterapia, ha lavorato negli anni anche con tantissimi calciatori.

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E nella calda estate del 1986, quella del beffardo Mondiale in Messico, a quattro anni dai trionfi leggendari di Spagna ’82, lavorò per due mesi con Paolo Rossi per cercare di prolungare la sua carriera calcistica. Che andò avanti ancora per due anni, fra Milan ed Hellas Verona.

Così oggi, in un momento così triste per tutta l’Italia, che piange uno sportivo che ha unito l’intero Paese da nord a sud, la memoria va a quei giorni. A quelle ore passate insieme a colui che, quattro anni prima, ci aveva portato sul tetto del mondo in una torrida e magica estate.

“Aveva 30 anni – racconta Manneschi – L’intervento che subì ad entrambe le ginocchia portò a una infezione chirurgica, nonostante tutte le attenzioni del caso”.

Stefano Manneschi

“Lui voleva in tutti i modi riprendere a giocare – prosegue – A distanza di anni, se ripenso al fatto che ha giocato dopo l’asportazione di tre menischi su quattro, con interventi effettuati in modo tradizionale, ovvero con l’apertura del ginochhio, devo dire che ha fatto il massimo possibile”.

Ma come mai venne a Firenze? “Seppe che avevamo una macchina isocinetica per il recupero muscolare – risponde Manneschi – e venne a luglio, agosto e una parte di settembre. Si era operato al rientro dal Messico, dopo la sfortunata spedizione del 1986”.

“Stette con me e con Benedetto – ricorda Manneschi – il mio collega che lavora ancora oggi al mio fianco. Lo abbiamo frequentato per ore, ogni giorno, ed è nato un bel rapporto”.

“Si parlava di tutto – continua – non solo di pallone. Per un rapporto che è continuato anche in seguito, avendo preso lui una fattoria in Valdarno. Io, che sono di San Giovanni, l’ho incontrato altre volte. Ed era sempre un piacere”.

“Il Mundial di Spagna ’82? Certo che ne parlammo – risponde Manneschi – Lo raccontava come il momento sportivo più esaltante della sua vita, a maggior ragione dopo i due anni di squalifica che aveva subito. Ma, diceva, bisogna sempre rialzarsi e combattere: lo dimostrava e lo ha dimostrato in più di una occasione”. 

“Di lui – dice Manneschi, in assonanza con il ricordo di tantissimi – mi hanno colpito la semplicità, l’umiltà, il sorriso, la voglia di mettersi in gioco, l’amicizia.

“Era ed è un personaggio nel cuore di tutti – conclude – E’ stato un privilegio averlo curato e conosciuto nel profondo, in quelle ore passate insieme”.

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