Klopp è il più grande di tutti.

Ma non perché vince dove non è facile vincere. Non perché disse: “Io non lavorerò mai nella squadra più forte al mondo. Io lavorerò per batterla” e poi lo ha regolarmente fatto.

Non perché esprime un gioco spumeggiante, abbinandolo a risultati storici.

Klopp è il più grande perché ha un meccanismo di gioco “replicabile”.

Lui riesce ad adattare la sua idea su diversi moduli, con diversi giocatori.

Quello che non è mai riuscito al Barcellona, per intenderci. Squadra straordinaria, ma trascinata da dei singoli unici al mondo. Da una generazione (anche due) di fenomeni totali. Ma che come si vede, un meccanismo che non funziona con altri interpreti.

Quando Klopp firmò per il Liverpool era fortissima la paura dei dirigenti tedeschi di perdere piano piano molti giocatori, magari attratti dall’appeal del vecchio tecnico che tanto li aveva valorizzati.

Non fu così.

Al Liverpool ha costruito piano piano la sua idea prendendo esclusivamente nuovi giocatori e adattando il suo progetto (lui sì, che aveva e ha tuttora un progetto) a seconda delle caratteristiche degli stessi.

Non ha acquistato nessuno ex Borussia, non ha impostato trattative con nessuno, non ci ha neppure pensato.

Il mondo, il calcio, il lavoro, la comunicazione sono tutti mondi in continuo cambiamento.

Chi non si rinnova muore. Inesorabilmente. A prescindere dal denaro che ha, dal business che fa.
A meno che non venda la Nutella, of course.

Ma a chi non piacciono i ricordi, chi è capace davvero di rinnovarsi e di rimanere sé stesso?
Io ci metto tutto me stesso, anche se non è nella mia natura. Non è in generale nella natura del popolo italiano, “mammone” per definizione.

Mi pare che non sia neanche nella cultura di Pradè, il rinnovamento.

Oramai è tornato qui da più di un anno e la maggior parte dei dirigenti e dei giocatori che ha contattato sono sue vecchie conoscenze.

Prima un grappolo di romani, poi un grappolo di nostri ex calciatori. O di calciatori di grande passato. Di buon passato. Ne vedo pochissimi di grande futuro.

E la cosa che mi fa più paura è che la gente di Firenze è peggio di me, peggio di Pradè.

Ancora qua amiamo raccontarci che “Fiorenza” una volta era il centro del mondo, era Capitale d’Italia.
Ecco, una volta appunto. Una volta avevamo i più grandi artisti del mondo, i più grandi ingegneri del mondo, una volta siamo stati davvero i migliori del mondo su ogni campo.

Oggi no.

Brunelleschi non c’è più, Michelangelo non c’è più. La Pira non c’è più.

Batistuta non c’è più, Toni non c’è più, Mutu non c’è più. Non c’è più neppure Giuseppe Rossi.

Riusciremo a trovare nuovi giovani campioni, come sembra essere Amrabat, pronti a difendere i nostri colori?

Riusciremo a ricostruire una Fiorentina che ci riempia d’orgoglio, con giovani forti e di prospettiva e non solo con vecchie glorie pronte a dare un contributo, per carità, prezioso ma effimero?

Riusciremo a vendere Chiesa prima che m’incazzi?

Se continuiamo a rincorrere il passato, temo proprio di no.

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