BAGNO A RIPOLI-SAN CASCIANO – Oggi Niccolò Sborgi è padre di tre figli. Imprenditore con passione in un settore delicato come quello dell’assistenza agli anziani, con tre Rsa (a Prato, Bagno a Ripoli e San Casciano). Amministratore delegato di Blue Clinic, sempre a Bagno a Ripoli.

Quella che però ci racconta questo 47enne in gran forma è una storia incredibile. Una storia di calcio. Di infortuni pazzeschi. Di passione infinita per lo sport che lo ha portato a superare ostacoli altissimi. Che ne hanno messo a rischio addirittura la vita.

Niccolò Sborgi, oggi (fra le altre cose) è amministratore delegato della Blue Clinic di Bagno a Ripoli

Il calcio lo ha portato vicino al sogno del calcio professionistico. All’Inter. Il calcio lo ha perso per anni, a causa di due infortuni di gioco tremendi. Per ritrovarlo fino a quasi 40 anni, giocando comunque nelle massime categorie dilettantistiche: per quella che è una vicenda di esempio per molti di noi.

Lo incontriamo a San Casciano, all’Rsa Villa San Martino: e quello che si dipana è il racconto di 30 anni di calcio. Coinvolgente. Appassionante. A tratti drammatico.

L’inizio: fra Firenze Sud e Cattolica Virtus

“Ho iniziato a giocare a pallone a 8-9 anni – inizia la sua storia Niccolò – nel Firenze Sud vicino a casa. A 14-15 anni (Allievi) vengo notato e portato in rappresentativa provinciale, regionale. E vado a fare gli Allievi B alla Cattolica Virtus”.

E’ un’ala destra, un numero 7. “In realtà – ricorda – vado lì perché ho la testardaggine di fare gli Allievi regionali con quelli più grandi. Mi dicono… vai pure, farai panchina. Vado, mi alleno, faccio le prime 3-4 partite in panchina poi divento titolare negli Allievi regionali, con quelli più grandi di un anno. Andiamo fino alle finali regionali, che vinciamo. Alle finali nazionali arriviamo quasi in fondo, sesti”.

“L’anno dopo rimango alla Cattolica Virtus – continua Niccolò – negli Allievi regionali, ma ho già un anno di esperienza con i pari età. Gioco bene. Mi prendono in rappresentativa toscana per il torneo delle regioni e anche lì facciamo un bel risultato: con me c’erano giocatori come Stefano Bettarini, “Pomodoro” Banchelli”.

Arriva… l’Inter

Lo notano gli osservatori dell’Inter. Anzi, un procuratore che scandaglia i campi di provincia in cerca di giovani talenti: “Mi dice che se voglio acquista il cartellino per farmi giocare in Promozione. E che era in contatto con l’Inter. Mi spiega anche che mi avrebbe mandato ad Appiano Gentile a fare una prova”.

“A quel punto parlo con il mio babbo – ricorda Niccolò – non avevo nulla da perdere, a scuola non ero proprio… il massimo. E vado: più per fare un’esperienza che con convinzione. Anche in famiglia non c’è grande aspettativa: il mio babbo di calcio non capiva e mi è sempre stato dietro con affetto, ma senza grilli per testa”.

Così Niccolò sbarca, senza grandi obbiettivi, nel “pianeta nerazzurro”. E’ la fine degli anni Ottanta, quando la prima squadra vince lo scudetto dei record con Giovanni Trapattoni in panchina.

“Ad Appiano Gentile faccio quattro giorni: con Allievi Nazionali, Beretti, Primavera (che diventerà campione d’Italia 1988-1989). E mi rendo conto che ci posso stare. Se ne rende conto anche Giampiero Marini, che allenava la Primavera. A fine allenamento viene da me e mi dice: la settimana prossima potresti tornare a fare un torneo con noi?”.

Niccolò però ha già dato… la sua parola: “Rispondo dicendo che avevo preso un impegno per fare un torneo con l’Affrico. Allora rimaniamo d’accordo di risentirci”.

I nerazzurri lo acquistano

E l’Inter richiama: “Vengono a fare un torneo alle Due Strade e mi prendono con loro: ricordo ancora questa cosa buffa che dormivano a Tavarnelle. Io li aspetto qua a Firenze, salgo sul pullman alla Certosa per venire a dormire… a pochi km da casa mia”.

Il torneo va bene. L’Inter lo vuole: “A giugno ’89 vado a fare le visite mediche, le passo e mi acquistano. A luglio vado a fare la preparazione ad Appiano Gentile per giocare con la Beretti”.

E’ un talento Niccolò: “Inizio a giocare i tornei precampionato, mi passano subito in Primavera per fare un torneo a settembre a Sanremo (il top dopo il Viareggio ai tempi), dove giochiamo anche contro il Real Madrid. Così vengo aggregato stabilmente alla Primavera, dove c’erano i classe ’70, più grandi di due anni”.

Il primo, terribile infortunio

Niccolò inizia a pensare di poterci stare per davvero. Che può diventare un calciatore professionista. Ma il destino ha in serbo qualcosa di diverso.

“A febbraio 1990 – racconta – vado a fare un torneo a Parma con la Primavera e contro il Bayern Monaco mi scontro con il terzino sinitro. Testa contro testa. Mi viene una emorragia all’occhio destro, interna ed esterna. Con il sangue anche dentro l’occhio: invece che mandarmi subito al pronto soccorso mi vede il medico della squadra, dice che non è niente di grave”.

“Io continuo ad allenarmi e giocare – dice Niccolò – la settimana seguente sono ad Appiano Gentile, mentre mi alleno ho un appannamento visivo all’occhio destro. Vado dal dottore glielo spiego: mi dicono che il giorno dopo sarei andato in sede per fissare una visita oculistica. Faccio così, mi fissano l’appuntamento per il sabato. Mi alleno giovedì, venerdì, vado dal mister Marini e per il sabato (giorno della partita) gli dico che devo andare a questa visita. Il mister dice che mi vuole far giocare titolare, il dottore dice… vai a giocare, lunedì torni in sede e ti fai rifissare l’appuntamento”.

Insomma, una sottovalutazione incredibile: “Il sabato gioco titolare a Brescia, vedo male da quell’occhio. Il lunedì mi fissano l’appuntamento per il mercoledì: in pratica arrivo davanti a uno specialista una settimana dopo il mio calo visivo”.

E si capisce che è successo qualcosa di grave: “Ricordo ancora che l’oculista esce fuori dall’ambulatorio dopo avermi visitato, va dalla segretaria, disdice tutti gli appuntamenti. Mi carica sulla sua auto, una Fiat Panda rossa, e mi porta all’ospedale di Monza. Mi mettono subito fermo, dandomi degli anti infiammatori per rivedermi dopo un settimana. Sto una settimana al convitto dell’Inter. Dopo una settimana mi dicono che devo stare ancora fermo, per vedermi dopo un mese. A quel punto mi mandano a casa”.

La situazione è davvero complicata: “Ai controlli torno con il mio babbo, dicono che il problema è grave, che rischio di perdere la vista da un occhio. Serve un intervento di laser terapia per limitare il danno, che comunque non è più recuperabile. Mio babbo decide di portarmi a Careggi, mi operano, ma mi rimane l’occhio con gravi problemi. Clinicamente sono monocolo con zero decimi di vista all’occhio destro”.

L’Inter lo “scarica”, ma Niccolò riparte dai dilettanti

Una brutta, bruttissima storia: “A giugno l’Inter mi comunica che sono svincolato. Ancora non avevo compiuto 18 anni”.

Una botta pazzesca a quell’età: “Sto fermo un anno. Dopo un po’ di mesi quello che… mi aveva fatto da procuratore mi dice di tornare a giocare, io lo faccio pensando di non essere più in grado. Vado a Staggia Senese”.

Ma Niccolò in campo è una furia: “Inizio a giocare, prendo fiducia e faccio tutto il campionato di Promozione. Arriviamo secondi, l’anno dopo disputiamo il primo campionato della nuova Eccellenza: il Livorno (fallito) arriva primo, noi secondi. Parto alla grande, faccio bene bene, ero giovanissimo e le squadre professionistiche toscane iniziano a seguirmi: Pisa, Siena, Sangiovannese, Arezzo…”.

Si torna a crederci, ma poi…

Niccolò torna a crederci per una seconda volta: “A Milano avevo avuto l’impressione di poterci stare fra i professionisti, in particolare quando il giovedì giocavamo contro l’Inter dello scudetto. A Staggia mi ritorna l’idea: facciamo un’amichevole con il Siena apposta per farmi vedere. Perdiamo 3-1, faccio gol. Iniziano le voci su un mio trasferimento”.

Niccolò non ha ancora 20 anni. Ma arriva la seconda botta, terribile. Quello che lui, sorridendo, definisce “il secondo segnale che quella del calcio professionistico non era la mia strada”.

E’ il 9 febbraio del 1992, si gioca una partita fra Staggia Senese e Fortis Juventus. In porta, con gli avversari, gioca un amico di Niccolò, compagno di squadra ai tempi della Cattolica Virtus, Giacomo Cortesi.

E’ un’azione di gioco che ferma il tempo. Ferma tutto: “Ho anche la videocassetta – dice Niccolò – che avrò visto centinaia di volte”.

Niccolò va verso la porta, crede in un pallone quasi impossibile. Cortesi esce, in modo regolare. Niccolò arriva “lungo”, si pianta con entrambi i piedi che fanno come da catapulta, si ritrova a cadere e, istintivamente, mette le mani avanti. Un braccio fa come da ariete sul suo basso ventre. Si capisce subito che è un infortunio gravissimo.

Rischiare la vita per il pallone

“Mi portano all’ospedale di Poggibonsi con una emorragia interna – racconta Niccolò – Da lì capiscono che non sono in grado di operare; allora mi portano a Villa Monna Tessa, a Careggi, dal sangue che c’era non riescono a capire il problema”.

Ore terribili: “Alle 23 entro in sala operatoria, stavo praticamente morendo dissanguato. Mi tolgono milza e rene sinistro. Mi sveglio due giorni dopo, intubato. Un trauma per tutti, il calcio va… in terzo piano. Basti dire che oggi sono invalido civile quasi al 50%.”.

Niccolò la prende con filosofia: “Un incidente di gioco come questi è rarissimo: due del genere sono quasi impossibili. Io li ho vissuti come segnali”.

E allora riparte da quella scuola che aveva abbandonato da giovanissimo: “Sto fermo tre anni, faccio le serali (ragioneria) mi diplomo, inizio a fare Economia e Commercio, lavoro a Villa Jole, da mia nonna”.

Riparte una splendida carriera fra i dilettanti

Il pallone però per Niccolò è un richiamo troppo forte: “Avevo ricominciato a giocare perché senza fare attività sportiva rischiavo di diventare pazzo. Insieme agli amici. Ero tornato a stare bene. Pensavo non mi dessero neanche l’idoneità sportiva, invece me la danno”.

Riparte in Promozione alla Lastrigiana, poi in Eccellenza-Serie D: Grassina, Castelfiorentino, Poggibonsi, Sestese, Larcianese. A 30-31 anni in Eccellenza a Figline, poi Fiesole, Pontassieve… .

“Ho chiuso nel Grassina – sorride – in Prima categoria: quell’anno l’Antella arrivò prima, noi secondi e vincendo i playoff riportammo il Grassina in Promozione”.

Niccolò ha smesso a 39 anni; oggi comunque gioca sempre a calcetto con gli amici, di stare fermo non se ne parla proprio. Con l’avanzare della carriera e dell’età dall’ala destra era diventato un centrocampista centrale, uno da 7-8 gol a campionato.

Una storia che insegna molto

E’ una storia che insegna tanto quella di Niccolò Sborgi. E’ la storia di una passione bruciante per il calcio, quello giocato, senza tanti grilli sulla testa.

Quella di un vero talento. Visto e riconosciuto anche dai grandi club. Purtroppo interrotto da un infortunio che, forse, avrebbe potuto essere diverso se chi in quel momento lo seguiva avesse operato in modo diverso.

E’ la storia di una rinascita, di un secondo momento in cui pensi che puoi davvero farcela. Ma anche del destino che arriva con tutto il suo carico, facendoti rischiare addirittura la vita.

E’ la storia di un uomo che non si è mai abbattuto. Che, anzi, è tornato su quei libri abbandonati da ragazzino; che ha iniziato a lavorare sodo, diventando un imprenditore rispettato.

Giocando però, sempre e comunque, a pallone. Ai livelli massimi nel calcio dei dilettati. Lasciando un bel ricordo di sé ovunque.

Perché il pallone, per Niccolò Sborgi, è vita. Ma la vita, quella vera, è fuori dal campo. E Niccolò la vive con gioia, ogni giorno.

Matteo Pucci

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