Riflettevo l’altra sera, tornando a casa dalle due finali della Danimarca’s Cup 2019.

Che il torneo di calcio a 5 che riprende le antiche glorie dei tempi di via Danimarca (qui il racconto) fosse roba autentica, positivamente “ignorante”, lo abbiamo scritto più volte anche su SportChianti.

Gli organizzatori in primis lo sono, e cito solo Michele Signorini e Leonardo Pierini come rappresentanti di tutti gli altri che permettono a questa meraviglia di disputarsi.

Campo con poca erba (quest’anno addirittura nel “sussidiario” del Walter Franchi, dove sono in corso lavori); maglie spesso scompagnate; arbitro “de noantri”.

Agonismo e voglia di vincere, certo. Ma anche tanta voglia di divertirsi allargando agli anni Duemila (e quasi venti ormai) la logica del “Mamma scendo a giocare a pallone” che ha caratterizzato le generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta.

Quelle delle famiglie che andavano a vivere nelle lottizzazioni Peep. Edilizia popolare, convenzionata. I quartieri nati da quel mondo di operai figli di ex contadini. Anche a Greve. Anche in Chianti, che non è certo mai stato quel “Chiantishire” a lungo dipinto da certa stampa.

“Ritengo che se uno voglia migliorare – ha detto nei giorni scorsi in una intervista Virgil Van Dijk, il difensore del Liverpool campione d’Europa – sia come difensore che come attaccante, dovrebbe continuare a giocare per strada con i propri amici”.

Non voglio certo dilungarmi oltre: la Danimarca’s Cup è un qualcosa di bello, di pulito, che noi di SportChianti sosteniamo e sosterremo sempre.

Volete un motivo in più? Guardate la foto in alto: quello era il bar per l’edizione 2019. Come si fa a non volergli bene?

Matteo Pucci

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