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FIRENZE – “Ci piacciono le salite” dicono. E messa così sembra tutto sommato una dichiarazione innocente, per chi ama il sudore sulle due ruote.

In realtà a loro piacciono salite che si susseguono a salite, pendenze sempre a due cifre, strade strette e pure sconnesse, asfalto, ma anche pavé o strade bianche, muretti ai lati, campagna tutt’intorno, polmoni grandi così e cuore a mille.

Si definiscono Cicloidi, con tanto di icona di ciclista barbuto a rappresentarli, e da qualche anno organizzano nell’autunno, nei dintorni fiorentini, una corsa che non è una corsa.

Una pedalata in compagnia, non competitiva, niente premi né iscrizioni. C’è chi viene da molto lontano per pedalare questa mattinata insieme. E condividere quell’aria di sport, poesia e sconfinato amore per la bici e la fatica.

Un percorso dettagliato, partenza alla francese (ognuno quando vuole, in parole povere) e ciascuno libero di declinare le ore di pedalata secondo i propri mezzi e i propri muscoli. Bici da corsa, ovviamente, e una lotta continua contro i crampi e i propri limiti.

Percorsi sempre nuovi, affascinanti. Con un paio di coordinate di massima: le pendenze più impegnative e la cupola del Brunelleschi da non perdere di vista per quanto possibile.

Per unire la bellezza alla fatica. “Sennò sarebbe sadismo puro e basta”, ammettono. Invece anche l’occhio vuole la sua parte, e aiuta a non mollare nei momenti più difficili.

“Muretti madness” la chiamano. “Una giornata di follia collettiva, infatti” scherzano Matteo e Roberto, architetti fiorentini, due dei cicloidi che, appena possono, salgono in sella e sognano (e cercano) nuove strade all’insù. “E’ un po’ come andare a cercare funghi” spiegano loro due che sono stati tra gli ideatori (insieme ad Arian, Michele e Andrea) di questa corsa che corsa non è.

“E’ proprio una mentalità diversa da quelle delle varie gran fondo. A nessuno di noi interessano i tempi o arrivare prima di un altro. A noi interessa pedalare. Punto”.

Un po’ la filosofia dell’Eroica, un po’ quella delle grandi classiche del Nord, le Fiandre che molti di loro hanno percorso nella versione per dilettanti. “In Italia c’è sempre stata l’idea che il fondo stradale per i ciclisti dovesse essere perfetto. Invece vai lassù e trovi roba da ciclisti barbuti, come piace a noi. Sterri, strade larghe nemmeno due metri, rampe di garage e via andare, l’importante è solo salire metro dopo metro. Ed è così da cento anni”.

Un percorso studiato un po’ sui pedali e un po’ su google maps, ma poi vissuto e analizzato metro per metro da questo gruppo di appassionati su due ruote. Stavolta, sabato prossimo, partirà da Firenze, come sempre, e poi salirà su, punto percentuale dopo punto percentuale di pendenza: Bellosguardo, Pozzolatico, Certosa, Colle Ramole, Montebuoni, Cascine del Riccio, Ponte a Iozzi, San Gersolè, Grassina, Fata Morgana, Ritortoli, Rimaggio, Varlungo. E poi ancora Settignano, Fiesole, Pian del Mugnone, Caldine, Bolognese, Careggi. Solo per dare qualche coordinata.

Roba da 110 chilometri e più di 3000 (sì, tremila) metri di dislivello complessivo. Un saliscendi continuo. Salite che ammazzano gambe già stanche per le salite precedenti.

“Il nostro parco giochi – spiegano – è quello contenuto nel filtro tra città e campagna: muretti, orti, campagne, le olive che in questi tempi di raccolta si mescolano al terreno e impastano il percorso”.

Nel percorso di questo anno ci sono tanti “inediti”: via della Pescaia alle Bagnese, Montebuoni, via Sant’Isidoro, Ponte a Iozzi. Perché appunto non si finisce mai di scoprire la mappa delle salite, un atlante in continua espansione.

E se chiedi a loro di indicarti le salite più belle del Chianti fiorentino e dintorni, quelle che loro vanno a conquistarsi da soli o in compagnia, ne viene fuori un elenco infinito. Perché ognuna di loro ha un suo perché, un motivo che la rende unica.

Da via di Pisignano che da Chiesanuova sale a San Casciano (“un incubo a occhi aperti”, dove incubo però per loro ha senso decisamente positivo), a Castel Ruggero dopo Capannuccia (“I ciclisti normalmente passano quasi tutti lungo la Chiantigiana e conoscono poco o nulla i percorsi alternativi”), il Valico del Testa Lepre, tra Mercatale e Panzano.

E ancora Lucolena, verso Radda (“un Chianti insolitamente montuoso che guarda verso il Pratomagno”), la strada che porta al Santurio di Pietracupa, Montefioralle. E non finirebbero più di elencarle.

“Perché il miglior consiglio che possiamo dare a ogni ciclista – dicono – è quello di mollare le strade principali, i sentieri battuti, e cercare ognuno la propria salita del cuore”.

Gabriele Fredianelli

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