con la maglia del Torino (foto collezione Fredianelli)

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Indossare il granata del Torino a 16 anni è stata un’emozione unica, ma “la maglia più bella resta sempre quella del Tavarnelle”.

Gli anni e la distanza geografica – ora che vive da tempo a San Benedetto del Tronto – non hanno appannato per nulla l’animo tavarnellino di Sergio Taddei, uno di quei calciatori partiti dal Chianti e arrivati nel calcio che conta, un bel po’ di anni fa.

La passione per il calcio è stata una questione di famiglia, ereditata da babbo Silvano, il direttore sportivo che portò la Libertas in Quarta Serie alle sfide contro Grosseto, Siena e Montevarchi e a cui oggi è intitolata la tribuna del “Pianigiani”.

Sergio, classe 1954, invece esordì a fine anni ’60 su un altro campo storico per la Toscana, quello di Piombino, in Promozione, ma era così giovane che – racconta divertito – “giocai sotto falso nome per aggirare i regolamenti”.

Poi a 16 ecco l’arrivo a Torino, sponda granata. Belle stagioni nel settore giovanile, il torneo di Viareggio e, il 13 maggio 1973, l’esordio in Serie A.

Al Sant’Elia di Cagliari. In campo icone granata come Paolo Pulici, il portiere Castellini, il capitano Ferrini e in panchina l’allenatore col colbacco Gustavo Giagnoni. Dall’altra parte, un certo Gigi Riva. Arbitro il fiorentino Menicucci, vinsero i sardi 1-0, gol di Maraschi.

Sergio entra al posto di Gianni Bui. “Appena in campo colpii il palo” scherza oggi. “Ero un libero ma a modo mio. Mi piaceva segnare. Nel calcio si vive per il gol, sennò che soddisfazione è?”.

Anche se quella resterà per lui l’unica presenza nella massima serie, gli anni in granata sono indimenticabili: “Quando arrivi a Torino così giovane, e ti metti quella maglia, è qualcosa che non è spiegabile. Ti senti davvero lo spirito di Superga addosso”.

Dopo tre anni in granata, il prestito al Novara e di lì una carriera decennale in Serie B, in su e in giù per l’Italia, con tanto di riccioli e baffi nelle figurine Panini: Verona, Avellino, tre anni a Varese, Sambenedettese, due anni a Pescara. Totale oltre 200 presenze e anche oltre 20 gol.

“Ma io ero un giocatore un po’ anomalo – spiega – non ero nemmeno tanto innamorato del calcio. Diciamo che la mia carriera è venuta così. Troppa fatica. Mica la partita: quella è divertimento puro. Ma gli allenamenti, le regole, le rinunce, quelle non mi sono mai andate troppo giù”.

Ma mentre gioca in B, non mancano le puntate nel calcio locale. C’è una foto che lo ritrae a San Casciano, con la maglia gialloverde: “Era un torneo dei bar. Non mi facevo mica tanti problemi”.

Quando poi smette di giocare, a inizio anni ’80, allena a Tavarnelle e San Donato in Poggio, con un paio di campionati vinti.

Ma poi riparte, per lavoro. E torna a San Benedetto del Tronto occupandosi di orologi d’epoca.

“Ma Tavarnelle è Tavarnelle. È il mio paese. Dove un giorno voglio morire e essere sepolto – scherza – Lì ho tanti amici e tante persone che mi vogliono bene, con cui sentiamo quasi tutti i giorni. E quella maglia. È difficile pensare a una più bella”.

Anche da lontano continua a seguire le vicende delle squadre del suo cuore. Ricordando anche l’amicizia con Roberto Malotti nata ai tempi in cui erano compagni di squadra a Montevarchi, nella fase finale della carriera di Sergio.

Tra i ricordi di calcio giocato ricorda allenatori per lui importanti come Pietro Maroso, Aldo Agroppi, Gustavo Giagnogni, Giancarlo Cadè. “Il problema è che facevano lavorare troppo, ti distruggevano dalla fatica. Meglio da quel punto di vista Carlo Parola, quello della rovesciata delle figurine, ai tempi di Novara”.

Ma nel cuore gli è rimasto soprattutto Marino Bergamasco, che lo ha allenato a San Benedetto: “Viaggi indimenticabili con lui, giù da Bologna il martedì mattina. Lui si presentava con una bottiglia di champagne e un vassoio di pasticcini per la squadra. Quando arrivavamo a San Benedetto, lui aveva finito la bottiglia, io i pasticcini. E l’allenamento veniva regolarmente spostato al giorno dopo. Un personaggio incredibile, ancora adesso nella memoria di tutti i tifosi marchigiani”.

Gabriele Fredianelli

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