Avevo appena 9 anni. In quegli anni, improvvisamente, accendeva le proprie frequenze TV Koper Capodistria, una emittente che trasmetteva tutto lo sport in continuazione ovviamente “in chiaro”.
All’epoca le pay-tv ancora non esistevano. Ne rimasi inebetito e anche un po’ accecato, visto che i primi tempi il segnale faceva schifo.
Il cupo e piovoso campionato tedesco vedeva tra le squadre più forti addirittura il Kaiserslautern, prima vincitore della Coppa di Germania nel 1990 e poi campione di Germania nel 1991.
La Liga era forse anche più triste, le uniche cose interessanti erano le capriole di Hugo Sanchez nel Real Madrid e poco altro. Il campionato italiano aveva il 110% dei campioni più importanti del mondo, il resto d’Europa era robetta.
La salvezza vera era il campionato argentino. Tantissima gioia sugli spalti, quei tremendi cartoncini bianchi quadrati, che venivano spezzettati e lanciati ovunque e comunque.
Quasi sempre il sole, tanta grinta in ogni angolo del campo, cori dalle curve e quelle esultanze totalmente folli, con i tifosi che scendevano gli spalti ad ogni rete, rischiando costantemente la vita (o almeno, questo pensavo, in un mix tra paura e invidia).
Nel River Plate giocava col 7 un ragazzone coi capelli lunghi, era Batistuta. Mi incuriosiva quel nome, così simile a quello col numero 5, Batista, nobile ma severo mediano incontrista.
Batistuta nel River non giocava sempre anche perché Passarella lo schierava ala destra. L’anno dopo lo rividi nel Boca, col 9. E la musica cambiò.
Mi è sempre piaciuto il Boca, credo di esserne tifoso da sempre. Impossibile non innamorarsi di Navarro Montoya che rinviava sempre di esterno destro e sempre o quasi nella trequarti avversaria.
Batistuta rincorreva tutti quegli assurdi rinvii sempre più lunghi, spizzando tutto quel che poteva verso Latorre, seconda punta dotata di maggior talento.
Sapete tutti come andò, da qui in poi.
Vittorio Cecchi Gori anziché dare l’ok per l’acquisto del brevilineo Latorre, impose ai suoi collaboratori di prendere il suo collega Batistuta, ben più imponente anche se meno tecnico.
Forse ero l’unico bambino di 10 anni che lo conosceva già e che non aveva neanche lontanamente pensato di paragonarlo al meno fortunato Dertycia o al misterioso Aguirre.
Per me era già “Bati” e già sapevo tutto di lui.
Quello che non mi sarei mai immaginato è quello che poi è accaduto. Un uragano di emozioni continue in piena adolescenza, in un momento già complicato e magico di suo reso unico e memorabile.
Quello che ho e che abbiamo vissuto dal 1991 al 2000 lo sto raccontando a mia figlia e mi auguro di farlo anche coi miei nipoti, se un giorno li avrò.
Inutile che ricordi le reti più belle o le partite più emozionanti. Sono sicuro che anche voi ricordate ancora tutto, soprattutto quelle straordinarie mezze rovesciate contro Cremonese o il Pisa.
Ricordo la Serie B, ricordo il ritorno in Serie A con record. Ricordo che Passarella gli impose di tagliarsi i capelli in nazionale, ricordo le lacrime quando ci segnò con la maglia della Roma.
Dopo di lui tanti altri campioni, ma nessuno così trascinante, così carismatico. Ed il bello è che mentre lo vivevamo, ne avevamo totalmente la percezione.
Una cosa è scrivere la storia, una cosa è scriverla mentre te ne rendi conto. E di questo non gliene sarò mai grato abbastanza.
Nel giorno di questo tuo 50esimo compleanno Gabriel, sono io che chiedo a te un ultimo regalo, dopo i tanti che ci hai fatto in campo.
Magari ci stai pensando, magari no.
Magari cerchi di rientrare nel mondo del calcio come dirigente o come allenatore, non so.
Ma ti prego, devi promettermi che non tornerai qua a Firenze, quantomeno finché ci sarà questa proprietà.
I Della Valle sono la tua antitesi, non hanno mai mostrato voglia di vincere, non comunicano con lo sguardo come hai sempre fatto tu. La personalità non va più di moda, quantomeno a Firenze e in questo periodo storico. Siamo cambiati, Gabriel.
È già terribile dover sopportare un Antognoni che talvolta fatico a riconoscere, che si mette contro i suoi stessi tifosi, quelli che lo hanno elevato a mito da sempre.
Non riuscirei a vederti in una veste simile. I miti devono rimanere irraggiungibili per sempre.
Tanti auguri.
Dario Del Gobbo
@RIPRODUZIONE RISERVATA