FIRENZE – Addio Paolorossi, tutto attaccato così come abbiamo sempre detto. Se Diego era la bellezza universale del calcio, Pablito era invece quella faccia da eterno ragazzo che, da 40 anni in qua, faceva sentire ancora giovane ogni italiano.
Perché bastava vederlo per andare subito con la memoria a ricordarsi dove eravamo in quei giorni di Spagna dell’82 (paradossalmente anche chi era nato dopo, tanto dopo, o chi allora era troppo piccolo per ricordare davvero).
L’uomo che aveva fatto piangere il Brasile, partendo dalla Toscana: dal campo di Santa Lucia a Prato, passando per quello della Cattolica Virtus e poi ritornando a casa, stavolta in Valdarno dove gestiva un agriturismo nella zona di Bucine.
L’Italia, non solo quella calcistica, non sarebbe la stessa oggi, senza quella tripletta al Sarrià e senza quella magica estate, fino al 3-1 alla Germania Ovest.
Come al solito le date giocano per dirci qualcosa. E se Maradona se n’è andato nel giorno stesso di George Best, fa sorridere che più o meno negli stessi giorni dell’anno se ne siano andati Diego (25 novembre), Pablito (10 dicembre) e il dottor Socrates (4 dicembre): i tre uomini-immagine di quel girone pazzesco che portò l’Italia in semifinale e la lanciò verso il terzo titolo mondiale.
E se Maradona ha avuto il suo cantore in Victor Hugo Morales (“ta ta ta ta ta”), di Paolorossi, tutto attaccato, resterà per sempre l’emozionante compostezza di Nando Martellini e del suo “Rossi, Rossi, Rossi”.
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