a sinistra Alberto Magnelli, a destra Fabrizio Innocenti

CHIANTI FIORENTINO – Loro due il calcio lo guardano dalla prospettiva più strana e forse più affascinante. Sistemati laggiù, in mezzo ai pali. Al massimo dall’altezza del dischetto.

L’area di rigore un minuto prima affollata come la metro all’ora di punta e un attimo dopo deserta per quarti d’ora interi. Quando la squadra segna, i compagni festeggiano lontani. Se la squadra perde, ci sta che invece sia colpa loro. Un errore fatale in mezzo a cento parate giuste. Per questo ci vuole una tempra diversa per fare il portiere.

Anche per questo Alberto e Fabrizio hanno fatto amicizia in modo così istintivo un bel po’ di anni fa. Ed è parecchio buffo perché, in oltre un decennio, non hanno mai giocato nella stessa squadra. Eppure ne hanno girato in carriere una dozzina a testa, mica una, dalla Serie D alla Seconda Categoria.

Alberto Magnelli da due stagioni è il portiere del Chianti Nord, dopo essere partito (e poi anche ritornato) dall’Antella, passando anche per Fiesole, Grassina, Reggello e Settignano.

Fabrizio Innocenti quest’anno gioca in Promozione, a Luco del Mugello, ma la scorsa stagione era a Greve in Chianti, con passaggi giovanili per Fiorentina, Prato e Scandicci.

“Ci siamo conosciuti da ragazzini nel 2007 – raccontano – in occasione della Copa Catalunya organizzata dal Team Firenze in Spagna. Eravamo in squadre diverse eppure è nata lì subito un’intesa non solo sportiva”.

Alberto e Fabrizio descrivono bene la splendida “normalità” del calcio delle serie minori. Alla soglia dei trent’anni hanno negli occhi ancora l’amore per il pallone che li spingeva a correre da bambini nei campetti accanto a casa, tra l’Antella e Scandicci, prima ancora delle Scuole Calcio e dei settori giovanili.

Eppure, in campo si sono incrociati davvero poco. Tanto che ricordano tutte quelle poche partite: da uno Scandicci-Sales negli Allievi a uno Scandicci-Grassina Juniores, compreso un torneo a San Donnino (“E Alberto parò rigori a ripetizione” scherza Fabrizio).

“Ci scambiavamo il classico saluto prima della partita – sorridono – poi più altro leggevamo le rispettive storie sulle cronache dei giornali il martedì mattina. Erano ancora tempi senza social e whatsapp”.

Poi spesso hanno affrontato proprio categorie o gironi diversi. In prima squadra, per dire, si sono incrociati solo in due stagioni, in Prima. In Galluzzo-Settignanese. E lo scorso anno nel derby Chianti Nord-Grevigiana.

Ma l’amicizia è cresciuta seguendo altre strade. “Vediamo e viviamo il calcio alla stessa maniera – spiegano – ed è sempre più raro che succeda, anche con le nuove generazioni”.

Sono cresciuti studiando, con un panino al volo tra la scuola e l’allenamento, e poi lavorando.

Oggi si sentono spesso, si consigliano, si raccontano la partita della domenica, si scambiano informazioni, intuizioni, riflessioni. Spesso si accorgono di pensarla alla stessa maniera. E ogni tanto vanno a mangiare una pizza insieme.

Curiosamente hanno spesso vissuto anche annate “a specchio”: “Siamo saliti di categoria nello stesso anno, uno all’Antella e l’altro a Palazzolo. O abbiamo avuto annate negative in contemporanea come uno a Molin del Piano e l’altro alla Ginestra per dire”.

“Abbiamo la stessa mentalità – raccontano un po’ per uno -. Ci piace ancora così tanto quello che facciamo che, se l’allenamento comincia alle sette di sera, noi siamo al campo alle sei. Siamo abituati così. Sappiamo che è il lavoro a fare la differenza, la cura dei dettagli. Anche se senza mai scadere nel maniacale, perché l’equilibrio deve essere quello giusto”.

“Sappiamo che, anche se giochiamo in Prima Categoria o in Promozione, lo dobbiamo fare nella maniera giusta – vanno avanti – Il calcio porta via tempo alla famiglia, alle fidanzate, agli amici. Per questo dobbiamo rispetto a quello che facciamo. Per noi è la normalità. Così come non ci pesa andare a letto un’ora prima il sabato sera o controllare quello che mangiamo”.

“Quando domenica si va in campo, non lo facciamo solo per noi stessi. Lo facciamo anche per i volontari che ci hanno preparato il pranzo o per quelli che ci fanno trovare la maglia ripiegata sulla panca nello spogliatoio. Per questo le vittorie sono di tutti, non solo di noi che andiamo in campo”.

Casuale in fondo per loro il modo di arrivare tra i pali.

Fabrizio, pure figlio d’arte col padre Sergio portiere e adesso preparatore, per colpa di un mal d’orecchie ai tempi dell’Isolotto, nelle prime partite della scuola calcio: “Era contro il San Mauro a Signa. Ci tenevo così tanto a giocare perché ero proprio agli inizi. Col medico patteggiamo che potevo giocare se non sudavo e stavo in porta. Non mi sono più mosso di lì”.

Alberto idem o quasi: “Giocavo difensore centrale, ma Riccardo, il mio migliore amico, faceva il portiere. L’ho voluto imitare, anche se poi spesso lui giocava titolare e io no”.

Ma gli attimi più forti e più importanti paradossalmente non sono in partita: “E’ decisivo il riscaldamento col preparatore prima della partita – dice Fabrizio – in quello strano rapporto che si crea con lui, nemico/alleato in quel momento”.

“Per me invece – dice Alberto – gli attaccanti più insidiosi sono sempre i compagni durante la settimana in allenamento. È lì che si crea l’atmosfera giusta per la partita della domenica”.

Essere portieri è uno sport nello sport. E a volte anche i momenti di crisi sono quelli fondamentali per crescere. Alberto ripartì da dodicesimo con il Grassina, dopo gli anni all’Antella, e Fabrizio idem alla Rufina, dopo l’esperienza di Palazzolo: “E’ quando ti trovi a non giocare che forse cresci davvero. Perché non devi pensare che è colpa dell’allenatore o di chissà chi. Ma ti devi guardare allo specchio e dirti che se giochi o non giochi dipende da te. E allora ti trovi a impegnarti sul campo ancora di più di prima”.

Gabriele Fredianelli

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