TAVARNELLE (BARBERINO TAVARNELLE) – Il prossimo anno, ormai lo sanno anche i sassi, Nicola Pozzi non indosserà la maglia gialloblù.
Quello con cui facciamo una bella chiacchierata è un Pozzi molto grato alla “famiglia” del San Donato Tavarnelle per questi due anni in Chianti.
Anni in cui la squadra gialloblù ha fatto un salto di qualità che l’ha portata prima a un soffio dalla Coppa Italia, poi a un’incollatura dalla promozione in Lega Pro.
Un Nicola Pozzi che dalle colonne di SportChianti saluta tutti con il cuore: quello che ha sempre messo in ogni partita e in ogni allenamento. Con alcuni passaggi dal retrogusto più amaro. Ma andiamo per ordine… .

Nicola, già trovato una squadra per il prossimo anno?
“Faccio prima le vacanze, poi deciderò con calma. Per adesso so solo che ho voglia di continuare per altri due-tre anni a giocare. Vedremo”.
Parliamo allora dell’esperienza al San Donato Tavarnelle, che si chiude dopo due anni intensi.
“Un’esperienza sicuramente positiva. Ci avrei tenuto a fare dei ringraziamenti sul sito della società, così come hanno fatto con Francesco Frosali, Gabriele Vecchiarelli, ma per un mese e mezzo dalla fine del campionato non ho sentito nessuno. Questo mi dispiace, ho avuto solo una chiamata veloce con il nuovo ds qualche giorno fa”.
Insomma, finale a parte, che anni sono stati?
“Molto belli. Innanzi tutto ringrazio la società e in particolare il presidente Andrea Bacci, con il quale ho avuto un rapporto speciale. Ho avuto il piacere di conoscerlo, è un signore, rimarrà un amico anche fuori dal calcio. Tutta la parte dei sandonatini, con il grande impegno e il volontariato che ci mettono: da Marcello a tutti gli altri. Voglio anche spendere due parole per l’ex direttore Massimo Manganelli. E poi tutte le persone della comunità di Tavarnelle, dove ho conosciuto tanti ragazzi e tante persone. Creando rapporti che continuerò sicuramente a coltivare nel tempo”.

Su qualcosa, però, sentiamo che sei rimasto deluso…
“Sì, e penso all’influenza che ha su tutte le decisioni il patron Fabrizio Fusi. Senza avere conoscenze calcistiche vere in questo mondo è difficile programmare. E lo si vede: cambiano direttori, allenatori, giocatori. Questo non permette di creare una programmazione, senso di appartenza, ogni anno si costruiscono buone o ottime strutture, ma poi si riparte da capo. I Garrone alla Sampdoria come patron non avevano conoscenze calcistiche, avevano disponibilità economiche e si affidavano completamente a persone del mestiere: Marotta ad esempio. Certo, per ora qui i giocatori vengono volentieri per l’appeal economico, per la solidità della società. Ma programmando, lasciando lo spazio di farlo a chi è del mestiere, si farebbe un salto di qualità ben diverso”.
Avresti confermato Roberto Malotti? Come ti sei trovato con lui?
“Io con Malotti mi sono trovato molto bene: è una persona molto impegnativa, ti chiede tanto. Mi sono messo alla prova anche fisicamente, i suoi sono allenamenti oltre la media. Con lui sono tornato a giocare con fatica e sudore. Alla fine i risultati sono stati ottenuti: per dare una mano alle squadre in difficoltà è il numero uno nella categoria. Un anno intero, partendo dall’inizio, non l’ha mai fatto. E su questo non si può dare una risposta. Forse gli sarebbe piaciuto provare a Tavarnelle; e forse partendo dall’inizio dell’anno aveva già anche pensato a lavorare diversamente dal solito”.

Nel secondo anno hai dato quello che ti aspettavi di dare?
“Dal punto di vista degli infortuni sono stato bene, ho avuto solo la frattura della costola. Ma non mi sono certo tirato indietro: ho giocato anche la partita con il Tuttocuoio con un tutore, mettendomi anche a rischio. Certo, se si guardano solo le reti segnate vuol dire che non si capisce molto di calcio, del modo di giocare di una squadra”.
Spiegaci meglio.
“Lo scorso anno giocavamo con Regoli, a due punte, era un altro modo di giocare, vedevo di più la porta, ho fatto più reti. Quest’anno con due esterni giocavo con spalle alla porta, creando gioco e mandando dentro gli esterni. Mettendomi sempre a disposizione della squadra. La punta centrale a San Donato difficilmente andava alla conclusione: era più deputata a far inserire gli esterni, fortissimi nell’uno contro uno, in un gioco impostato così. I gol in meno sono quindi dovuti anche a questo. Ma io non ho bisogno dei numeri, la carriera parla per me. Se io gioco in Serie D e la squadra ha bisogno di me in un certo modo mi metto a disposizione della squadra. Le manifestazioni di affetto di tante persone e di tante compagni, relative soprattutto a questo, mi hanno fatto davvero molto piacere. Qui non c’è da fare i fenomeni e pensare alle tue statistiche, per quello che contano: ma devi metterti al fianco degli altri, anche e soprattutto dentro lo spogliatoio. Tanti lo hanno capito, qualcuno purtroppo non ha questa conoscenza calcistica per poterlo capire”.
Hai, infine, un consiglio per Francesco Frosali che sta per spiccare il grande salto fino alla Serie B con il Trapani?
“Sono di parte perché è un amico che è diventato come un fratello. Di consigli gliene ho già dati, ci ho parlato. Il consiglio più grande è di prepararsi al massimo, arrivare già in condizione a livello fisico in ritiro, con una preparazione quasi fatta. E poi sfruttare ogni singolo allenamento per mettersi in mostra, con la concentrazione come se fosse una partita. Solo così si conquista la fiducia e ci si può imporre in certe categorie. Arriva qualche anno dopo rispetto agli altri, ma non conta nulla: se è fisicamente al top ed è feroce nella determinazione può imporsi anche in Serie B”.
Matteo Pucci
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