A fine partita Gabbiadini mostra su cellulare all'arbitro Abisso l'episodio del rigore

Potrei scrivere e dire tante cose sulla partita di ieri sera. Dove per partita, ovviamente, intendo Fiorentina-Inter, ché non si parla d’altro oggi.

Potrei scrivere che nonostante tutto è stata una bella partita, di quelle che, non fosse per il contorno polemico, sarebbero comunque un convincente spot per vendere il prodotto calcio italiano. Perché si dice tutto oggi, ma non che è stata una bella partita, piena di colpi di scena e di ottime cose a livello tecnico (in un mondo normale oggi si parlerebbe di quanto sono stati belli i gol di Politano e Muriel, si farebbero vedere ai ragazzi nelle Scuole Calcio oggi pomeriggio. Poi ci si domanda perché la Nazionale non passa un primo girone dei Mondiali dal 2006).

Potrei scrivere – ma lo dico da ben prima che mettessero la moviola in campo – che il Var applicato al calcio è molto più complesso di come può apparire e i casi multiformi: campo grande, 22 giocatori, mille possibili episodi di ogni genere, 30-40-80mila spettatori in tribuna, milioni di persone davanti alla tv, pressione alle stelle. Non ci vuole un genio per capire che è non banale il protocollo da usare. E infatti i tempi d’uso stanno lievitando. Il Video Challenge della pallavolo ha un senso. Il Var così no.

Potrei scrivere che il siparietto Caressa-Spalletti è stato da voltastomaco non solo per i due personaggi in questione ma anche per le rispettive categorie d’appartenenza (un allenatore che dà del “tifoso” a un giornalista. Il giornalista che in risposta ritratta parte di quanto detto prima).

Potrei scrivere che leggere alcuni articoli oggi (Lorenzo Vendemiale sul “Fatto Quotidiano” sostiene che ci vorrebbe un ente terzo che gestisce il Var: un controllore che controlla i controllori. E ci sarà poi un controllore che controlla il controllore che controlla i controllori?) mi fa semplicemente sorridere. Anche se il gusto del paradosso non è male.

Potrei scrivere che continue soste di diversi minuti per valutere ogni episodio e una partita che dura come una finale coi supplementari è un’altra cosa rispetto al calcio che ognuno di noi conosce. Il calcio non è e non sarà mai il Superbowl. Sennò mettiamoci pure gli spot pubblicitari e le majorette mentre l’arbitro riguarda il Var.

Potrei scrivere che, se fossi un arbitro di Serie A, sarei il primo ad essere infuriato perché ogni domenica fanno la figura dei fessi, oggi più di ieri. A Ferrara come a Firenze.

Potrei scrivere che chi ha tirato fuori le offese a Astori (come le schifezze su Scirea, come Superga, ogni volta…) non ha problemi di sport ma ha problemi di vita.

Potrei scrivere che ieri però, nonostante Fiorentina-Inter sia stata divertente e nonostante invece fuori tirasse vento e facesse freddino, mi sono alla fine divertito di più a vedere Cerbaia-Chianti Nord: cinque gol, due rigori (uno sbagliato), qualche polemica, ma è bello anche così. Perché una Terza Categoria dal vivo sarà sempre più bella di una finale di Champions League in tv.

Potrei scrivere o dire un sacco di cose. Anche che non c’entrano niente con Fiorentina e Inter, e Spaletti e Abisso.

Ma, al netto di rigori, falli di mano e tocchi di petto, di allenatori indiavolati e calciatori a bordocampo col cellulare, c’è una cosa che mi mi fa imbestialire in questo calcio.

O soltanto che mi mette una tristezza infinita addosso. Che forse è anche peggio.

È vedere i giocatori che, dopo aver segnato, stanno ad aspettare di aver l’ok dal Var per cominciare a festeggiare.

Sembrano i cavalli del palio di Siena prima della mossa. Si guardano intorno con aria spaurita in attesa del via.

Ecco, in quell’immagine secondo me c’è tutto il senso di uno sport che sta morendo. Che magari non morirà davvero (perché ci sarà sempre chi è disposto per una passione a pagare i soldi di un abbonamento a sky o di un biglietto allo stadio. Perché il calcio in fondo ci piace troppo, a tutti quanti).

Ma che non sarà mai più lo stesso di prima.

Avete idea di che tristezza ci sia in fondo al cuore di un bambino a cui consigliano di non esultare per paura di restarci male, dopo?

Gabriele Fredianelli

Redazione
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