CHIANTI FIORENTINO – Nel paese a più alto tasso di commissari tecnici della Nazionale, l’indomani (e l’indomani ancora) della mancata qualificazione ai Mondiali per gli azzurri è un ribollire di delusione, colpe da attribuire e soluzioni da trovare per il futuro.
Inevitabile che, se provi ad affrontare l’argomento, ti ritrovi alla prese con lunghissimi sfoghi, da parte di chi ama il calcio (pure in territorio fiorentino: dove il rapporto calcistico Fiorentina-Italia è sempre stato pessimo nell’ultimo trentennio e dove non mancano tanti tantissimi tifosi viola “anti-azzurri”).
Perché ognuno di noi, un attimo dopo il fischio finale di Italia-Svezia, ha elaborato una propria teoria sui mali del nostro calcio recente.
Così noi abbiamo provato a interrogare qualcuno dei volti più noti del panorama calcistico chiantigiano non tanto per chiedere conto delle colpe (che ormai lasciano il tempo che trovano), ma semmai quali potrebbero essere le soluzioni per un azzurro più brillante in futuro.
“La nazionale è solo la punta dell’iceberg di tutto il movimento italiano – analizza Alessio Mamma, direttore sportivo dell’Atletico Impruneta ma anche membro della sezione fiorentina dell’Aiac (Associazione Allenatori) – I problemi e le soluzioni non nascono dall’oggi al domani. Basta guardare non tanto la Serie A ma il nostro settore giovanile e quanti sono i ragazzi stranieri che giocano fino alla Primavera. Viviamo in un mondo globalizzato, d’accordo, ma ci dobbiamo dare delle regole, darci un tetto massimo di giocatori stranieri anche nel settore giovanile”.
“E poi – continua – fino agli Allievi bisognerebbe che i campionati non privilegiassero risultati, classifiche, retrocessioni ma la crescita dei ragazzi, come era un tempo. Io vedo ragazzi che hanno vinto campionati regionali finire a giocare in Terza Categoria e ragazzi che invece sono magari retrocessi fare delle buone carriere nelle prime squadre. Vorrà dire qualcosa. Di sicuro oggi comunque paghiamo errori di cinque o di dieci anni fa, il tempo che ci vuole per formare un giocatore. E se oggi abbiamo una evidente crisi di talenti è perché si lavora male a livello giovanile. In questo un club come l’Atalanta dovrebbe essere un modello-pilota. E servirebbe magari anche un campionato più equilibrato in Serie A, perché si migliora solo giocando contro squadre di pari livello e non succede in un torneo come il nostro diviso tra due o tre grandi squadre e il resto di formazioni mediocri”.
“In questi giorni mi trovo in Germania – dice il presidente del San Donato Tavarnelle, Andrea Bacci – e ci prendono tutti per i fondelli. E hanno pure ragione. Credo che ci sia soprattutto bisogno di ringiovanire le poltrone federali, per migliorare il futuro. La scelta di Ventura in questo senso è stato un errore grande: un allenatore che, per carisma, era inadatto a gestire giocatori del calibro di Buffon, De Rossi o Chiellini. E così facendo si è finito per fare un danno incredibile a tutto il popolo italiano. Penso a tutti quei momenti di aggregazione spontanea che nascono durante le partite dell’Italia ai Mondiali. E penso ai mancati incassi di locali e associazioni che hanno la possibilità di trasmettere quelle partite sul maxischermo. E il problema si riproporrà nel 2022, quando, se andremo i mondiali, questi si svolgeranno d’inverno”.
“Chi non vede certi problemi – dice il d.s. della Sancascianese Roberto Falagiani – vuol dire che di calcio non capisce nulla. Il primo problema è che i nostri giocatori hanno le ali tarpate dai troppi stranieri nei vivai. Io sarei per porre un limite, magari non tanto al numero di giocatori nelle rose ma all’impiego in squadra in partita. Sennò finiamo per insegnare il nostro calcio agli altri e ad arricchire il potenziale delle altri nazionali: penso a paesi come la Croazia, l’Uruguay, il Belgio”.
“Poi – prosegue – un’idea buona potrebbe essere quella delle seconde squadre come in Spagna per far crescere i nostri ragazzi. Perché è inutile sennò far giocare, per mancanza di alternative, qualcuno che, come Bernardeschi, in campionato non ha giocato quasi mai. A volte vedo in Serie A dei giocatori che mi dico: ma i nostri in Prima e Seconda Categoria sono tanto peggio di loro? C’era bisogno di andare fin laggiù a prenderli? Ma il problema è che dietro ci sono troppi interessi”.
“Non sono per nulla ottimista sul futuro – dice sconsolato Nicola Vasetti, tecnico del Cubino, che nei settori giovani ha lavorato – Credo che manchi soprattutto una linea comune in tutte le componenti, una filosofia definita che proceda nella gestione di tutti i settori. E poi non è concepibile che ad un allenatore per lavorare nel settore giovanile vengano richieste meno qualifiche che nelle prime squadre. Perché i veri danni sui calciatori si fanno in tenera età. Tante volte ho trovato ragazzi degli Allievi che ancora hanno dei problemi sulla tecnica o sul posizionamento rispetto al pallone. E poi rimango dell’idea che troppo spesso nel calcio giovanile si giochi per cercare il risultato e non per formare il ragazzi. E questo è assurdo. Quanto alla nostra mancata qualificazione, penso che il dopo Calciopoli abbia portato anche a una generale mancanza di esperienza a livello internazionale per tanti giocatori. E i risultati si vedono”.
E in questa panoramica, in queste parole che tanti di noi pensano o hanno pensato, ci piace sentire anche la voce dei più giovani. Di quei ragazzi che sono nati ben oltre le notti magiche di Italia ’90, bel dopo anche i rigori maledetti di Pasadena.
Di quei quasi ventenni che, se giocassero ad alti livelli, sarebbero magari ancora in attesa del loro esordio in Serie A.
Per questo abbiamo chiesto un parere ai nostri collaboratori più giovani, Lorenzo Topello e Niccolò Righi. Che, oltre alle analisi tecniche, pongono l’accento anche su tutto quello che sul piano “emozionale” la prossima estate mancherà a tutti noi.
“Non è l’unica umiliazione recente – ricorda Lorenzo Topello – basti pensare ai Mondiali del Sudafrica o del Brasile. Ma stavolta spicca di più per un dato statistico: da 60 anni non succedeva. Forse non è troppo coerente abusare dello slogan “largo ai giovani” o della famigerata “linea verde” e poi chiamare alla guida della nazionale un ct di quasi settant’anni che i giovani più forti (Insigne, El Shaarawy) li lascia in panchina nella sfida più importante. Perdere il Mondiale significa infrangere i sogno di milioni di persone. Non ci saranno per noi bandiere, ritrovi con gli amici, caroselli. Non ci sarà l’Inno di Mameli. Non ci sarà semplicemente una nazionale presuntuosa e tremendamente sopravvalutata”.
“Ai bambini non viene è insegnato “come” si gioca a calcio – analizza Niccolò Righi – ma “per quale” scopo si gioca a calcio: vincere. I valori dello sport sono sempre più lasciati a marcire in disparte. Ormai si guarda solo al risultato, giocatori di dubbie capacità ma più efficaci vengono sempre e comunque preferiti ad altri tecnicamente e tatticamente più dotati ma meno risolutivi. Ormai questo sacrificio delle capacità per una maggiore finalità lo fanno tutti gli allenatori, da quelli delle squadre di paese fino a quelli della Serie A: ed ecco che abbiamo difensori sempre più bravi a impostare me sempre più mediocri a difendere, ali con una prestanza fisica pazzesca ma che non sanno crossare e attaccanti sempre più coinvolti nella manovra ma che al momento decisivo non la buttano dentro nemmeno con le mani. Forse il capro espiatorio sarà individuato in Ventura, forse in Tavecchio. Ci vorrebbe invece un mea culpa generale che indirizzi il calcio italiano verso un nuovo “risorgimento”. Io, alla vigilia dei vent’anni, speravo solo di vedere un mondiale con una bibita ghiacciata in mano e i miei migliori amici accanto”.
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