Riccardo Ghiandelli, 43 anni, imprenditore: oltre 300 reti fra Terza categoria e Promozione

SAMBUCA (TAVARNELLE) – Molti si definiscono “bomber”. Pochi lo sono (o lo sono stati) per davvero. Riccardo Ghiandelli, che tutto il Chianti conosce come “il Totti”, è fra questi.

Ci accoglie nella sua azienda nella zona industriale della Sambuca. A poche centinaia di metri da uno degli stadi che lo hanno visto protagonista assoluto nel calcio dilettantistico chiantigiano.

“TOTTI” SOPRANNOME DI FAMIGLIA: FRANCESCO NON C’ENTRA NULLA

Classe 1974, mercatalino, ci toglie subito ogni dubbio su quel soprannome: “Francesco Totti non c’entra nulla. E’ un soprannome di famiglia: era di mio nonno, poi del mio babbo, poi mio. In molti ci conoscono solo così: basta pensare che a casa nostra arrivavano anche posta e cartoline con scritto Totti e non Ghiandelli…”.

Quella di Riccardo Ghiandelli è la storia di uno dei bomber più prolifici nella storia recente del calcio locale.

Una storia molto particolare, perché siamo di fronte a uno che ha messo a segno oltre 300 reti nei dilettanti (“Fra le 310 e le 320, dalla Terza categoria alla Promozione, non so essere più preciso”) ma che nelle giovanili faceva molta panchina.

GALEOTTO FU IL MUNDIAL ’82

Ma partiamo dall’inizio: “Ho cominciato nel 1982 a Mercatale – racconta Riccardo – dopo il Mundial spagnolo. Partii con i più grandi perché i piccolini come me… non c’erano, ma la vittoria in Spagna mi aveva talmente galvanizzato che dovevo iniziare per forza”.

“A Mercatale sono stato fino a 14 anni – prosegue – poi la squadra si dissolse perché non c’erano più ragazzi. Da lì in cinque o sei ci presero a San Casciano, all’epoca nei Giovanissimi”.

In gialloverde è rimasto, fra giovanili e prima squadra, fino al 1997: “Poi sono andato alla Sambuca – ci dice – per cinque anni; poi sono tornato a San Casciano per due anni. A trent’anni decisi di smettere ma a 31… ricominciai, sempre a San Casciano”.

SMETTO… ANZI NO

Un percorso incredibile quello di Riccardo, che ha fatto la fortuna delle società che lo hanno avuto fra gli attaccanti: “Dopo un anno a San Casciano andai a Cerbaia, dove sono rimasto quattro anni. Nel 2010 ritornai di nuovo a San Casciano, ma in preparazione mi feci male a un ginocchio, rimanendo due anni fermo”.

“Ma dovevo essere io a smettere – dice dimostrando una grande forza di volontà – non poteva essere un ginocchio a farmi dire basta. E a 38 anni ho ricominciato con mister Serrau, nel Centro Storico Lebowski, allora in Terza categoria”.

L’ULTIMO (INCREDIBILE) ANNO AL CENTRO STORICO LEBOWSKI

Un ex compagno di squadra (Serrau appunto) che lo chiama come “anziano”, per fare spogliatoio, e insegnare ai più giovani: “Ma alla fine – sorride il Totti – le giocai tutte, mettendo a segno 24 reti”.

Chiediamo cosa voglia dire giocare con la maglia del CS Lebowski, una storia incredibile di passione e affetto popolare: “Mai avuta una tifoseria come quella – conferma Riccardo – non ce l’avevano neanche in categorie superiori. Era pazzesca: ricordo ancora una finale di coppa a Calenzano con 1.100 paganti. Paganti capito?”.

COME GIOCAVA “IL TOTTI”?

Mancino naturale, aveva un modo unico di calciare. Secco, potente, preciso: “Mi ricordo tutti i gol e tutte le partite, ma non chiedetemi di sceglierne uno. Posso solo dire che fra tutti quelli che ho fatto, non arrivo a cinque di destro (mi serviva solo per camminare) e a dieci di testa”.

“Che giocatore ero? Prima di tutto – risponde – sono stato sempre un giocatore corretto e onesto, credo di poterlo dire senza timore. Mi piaceva fare la seconda punta, ma spesso ho fatto anche la prima per le esigenze della squadra. Ho giocato anche a centrocampo, in particolare da più giovane, quarto a sinistra con compiti offensivi. Per me il divertimento nello spogliatoio era alla base di tutto. Forse alla Sambuca è stato il periodo in cui mi sono divertito di più. Vittorie? Ho vinto campionati più o meno con tutti; e la coppa al Centro Storico Lebowski”.

DA GIOVANE TANTA PANCHINA

Appunto, da giovane: il talento del “Totti” è esploso tardi. Di solito chi fa queste vendemmiate di reti nei dilettanti ne ha fatti almeno il doppio nelle giovanili.

“Dove invece facevo molta panchina – ricorda – Forse anche perché ero veramente piccolino; il salto fisico l’ho fatto più tardi. Insomma, continuavo a giocare solo per stare insieme agli amici”.

“Gli allenatori che mi sono rimasti impressi? Tutti – spiega – mi hanno dato qualcosa: o dal punto di vista tecnico, tattico, di ambiente, di carattere. Ma se devo fare un nome dico Danti, a San Casciano, perché forse è stato il primo a credere in me”.

COMPAGNI E AVVERSARI, QUALI I PIU’ FORTI? E I CAMPI “TERRIBILI”?

Se andiamo a vedere quali fossero i compagni di squadra più forti con cui ha giocato, ecco la “rosa” di Riccardo: “Ho avuto la fortuna di giocare con Jacopo Silei a San Casciano, con Danilo Rossi alla Sambuca, con Sauro Salvadori sempre alla Sambuca. Forse il più forte in assoluto”.

“I difensori che mi facevano sudare? In tutte le categorie c’è sempre stato qualcuno – ammette – ma secondo me il più forte era Francesco Galli, nella Grevigiana. Con lui era davvero dura”.

La domenica pomeriggio sui campi di tutta la provincia fiorentina è stata, per “il Totti”, un rito per molti anni. Quali i più terribili, come ambiente, pubblico…? “Quando andavi a giocare a Palazzuolo, a Cerbaia (da avversario ovviamente): erano davvero domeniche complicate”.

GLI ALLENAMENTI PER TIRARE LE PUNIZIONI… E NON FARSI MALE

Lo salutiamo ricordandogli i suoi famosi calci di punizione. Un incubo per i portieri; una meraviglia per i suoi tifosi.

“Le tiravo in tutti i modi – ci dice Riccardo – e non mi allenavo neanche tanto. In realtà quello che mi faceva allenare di più era Fabrizio Polloni al Cerbaia. Aveva paura che mi facessi male a correre e allora… mi mandava a tirare ai portieri”.

Matteo Pucci

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