Il Monte Serra, oltre a una vegetazione florida, una ricca fauna e qualche antenna, ospita (… ospitava?) una via ferrata che a detta degli esperti è tra le più dure in Toscana, sia da un punto di vista di abilità tecniche sia per l’impegno fisico.

Una via molto articolata che non manca di fantasia nella scelta dei passaggi.

“Difficile” – sentenziano le guide, e in un attimo quella parete di roccia prende tutto il fascino del mondo.

È lì che voglio andare.

Chiamo gli amici, gasatissimo descrivo il luogo e faccio pressione per scegliere velocemente una data. Quest’ultima fase però inizia ad andare troppo per le lunghe e io comincio a diventare impaziente.

Aspettare. L’attesa è una dimensione meravigliosa. Le ciliege maturano mentre noi aspettiamo.

Ma ci sono volte in cui aspettare equivale allo spegnersi della candela, al morire. Il giochino è capire quando siamo di fronte al caso A o al caso B.

Andai da solo. Lo feci prima che quel “sasso” diventasse troppo più grosso di me, ed ottenni ciò che meritavo. Mi resi conto fin da subito che quello che avevo letto a riguardo era vero: molto faticosa, estenuante se si perde la concentrazione. La roccia è solidissima, ma è ruvida, punge e taglia. È un luogo ostile.

Il suo ultimo tratto è la chiave: dopo un ponticino sospeso c’è un anfratto verticale senza appigli oltre al cavo, lungo non più di quattro metri. Eppure quel pezzetto sembra il mondo intero.

Metto insieme le ultime energie rimaste, ma a metà un moschettone si incastra ad un morsetto lungo il cavo sotto di me e prendo uno strattone che per poco non mi tira giù.

Come i cani quando finisce il guinzaglio.

Il peggio è che non riesco a liberarlo e più il tempo passa più sento che le forze mi lasciano (cadere). Bruttissima sensazione. Riuscii a malapena a scendere di nuovo sul ponticino e dovetti uscire dalla ferrata tramite il passaggio facile, quello previsto come alternativa al successo.

L’imprevedibile e l’imprevisto spesso danzano insieme, e non si interessano di sapere se altrimenti ce l’avresti fatta. La faccia crudele della natura.

Me ne tornai a casa ringraziando l’universo, come uno che non può fare altro.

Rigenerato, come il bosco che dopo ogni incendio torna più rigoglioso che mai. Così gli uomini.

Didje Doo

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