TAVARNUZZE (IMPRUNETA) – “Mi sembrava di essere un bambino al mare, con la mamma che ti chiama perché il bagno è durato anche troppo: dai Simone, si era detto che facevi solo venti minuti”: il Simone che non vuole uscire dal campo è Simone Ferravante, il bomber del Lebowski col fisico da rugbista (1.91 di altezza per 94 chili, recita la sua scheda sul sito ufficiale) che quel pomeriggio a Montagnano in amichevole, dieci giorni fa, tornava in campo dopo sette mesi dall’operazione al ginocchio. L’altro che lo chiamava dalla panchina era Diego Murras, fino alla scorsa stagione colonna della difesa grigionera e oggi vice di Andrea Serrau.

Ma aveva troppa voglia di tornare in campo Simone. E domenica scorsa, a Uliveto Terme, è arrivato anche l’esordio stagionale in campionato. Qualche minuto, ma dal peso specifico enorme: perché significava recupero completato (“Ma non ditelo ai medici – scherza Simone – perché per loro il tempo di rientro in campo era di otto mesi”) e perché era l’ultimo tassello di un puzzle andato a incastrarsi. Esordio in Promozione e collezione completa nel suo curriculum: Ferravante dalla Serie D alla Terza Categoria ha giocato in ogni gradino del calcio dilettantistico: “Adesso manca solo un gol per completare il quadro” sottolinea Simone, che a questo piccolo record ci tiene davvero.

Non deve essere stato per nulla facile stare lontano dal campo tutti questi mesi, proprio mentre i suoi compagni soffrivano domenica dopo domenica per arrampicarsi verso la categoria superiore: “Mi mancava il campo ma mi mancava soprattutto il resto: lo spogliatoio, l’allenamento in gruppo, essere insieme ai compagni che fosse per scherzare o per fare l’esercizio serio. È in quei momenti che ti senti di appartenere a qualcosa. E non è la stessa cosa che fare riabilitazione da solo”.

E anche Ferravante è mancato a questo Lebowski, perché un attaccante con le sue caratteristiche non c’è in rosa e la società ha aspettato il suo ritorno: “Anche per questo ho forzato un po’ i tempi. So che il mio rientro offre al mister una opzione in più in un attacco composto soprattutto da giocatori rapidi e tecnici”.

Fuori la domenica, ma presente gli altri giorni da gennaio a domenica scorsa: “Ho sempre cercato di andare a vedere gli allenamenti dei compagni e le partite la domenica, anche se ero fuori. Perché era un periodo in cui il gruppo aveva bisogno del contributo dei più “anziani”, come me, Murras o Geri anche solo per una battuta per allentare la tensione. È anche per questo che oggi che c’è Montuschi nella mia condizione vedo Michele fare il possibile per essere vicino alla squadra nonostante il grave infortunio”.

“Eppoi diciamolo – prosegue – l’ambiente Lebowski si presta bene a questo. È un posto dove si sta bene sempre, perché c’è un clima rilassato, la voglia di stare insieme. Un livello alto a livello calcistico, con principi sani, ma dove non ci sono presidenti o direttore sportivi a metterti pressione”.

Simone è un romantico del calcio che in grigionero ha trovato tanti altri romantici come lui: “Non lo nego, dopo l’infortunio anche in famiglia qualcuno mi diceva: ma chi te lo fa fare? Prenditi il tuo tempo, ci sono altre cose nella vita. Ma io non vedevo l’ora di tornare in campo. Sono contento ogni volta che vado all’allenamento: finché dura così non ci penso davvero a smettere. Dopo tanti anni nei dilettanti la soddifazione che provo a giocare a calcio è soprattutto per le persone che incontro, per quelle con cui divido il tempo. E mi piace pensare di poter aiutare i ragazzi più giovani, quelli di 17-18 anni. Mi rivedo alla loro età: e allora passo magari più volentieri il tempo con loro che coi miei coetanei, mi piace ascoltarli, parlarci, ascoltare i loro problemi anche fuori dal calcio. Mi piace l’idea che dentro lo spogliatoio non ci siano differenze di età. Il passato non conta: conta solo l’essere insieme in una squadra”.

“E appunto contano le persone – prosegue – Con Cubillos si giocava contro negli anni 2006-2007, io a Scandicci, lui a San Donato e pensavo: chissà, magari un giorno giocheremo insieme. Ecco, adesso capita che con Diego andiamo all’allenamento in macchina insieme ed è un cerchio che si è chiuso a distanza di dieci anni”.

Classe 1989, consulente finanziario nella vita di tutti i giorni, Simone è partito dal settore giovanile dello Scandicci. Fa così tanto bene negli Allievi Regionali che salta gli Juniores e finisce subito in prima squadra in Eccellenza. Roberto D’Annibale allenatore, secondo posto dietro la Colligiana di Rigucci e spareggi nazionali vinti. Con giocatori come Frassineti, Latini, Leo, Gutili e Serrotti come compagni.

Verrà poi la Serie D sempre coi blues, quindi il Grassina in Eccellenza. Poi qualche anno di stop per gli studi universitari e la ripartenza dalla Terza Categoria a Bagno a Ripoli con gli amici.

La vittoria del campionato coi gialloblù e una rete proprio al Lebowski che ancora spopola su youtube: un sinistro terrificante da 30 metri sotto l’incrocio: “Mi sono divertito tanto in questi anni nei Dilettanti. Qualche ricordo mi dà ancora i brividi. Ripenso al livello della Serie D di qualche anno fa e al gol che feci al Figline di Semplici e di Frediani”.

Due estati fa la scelta di ripartire dal Lebowski, risalendo fino alla Promozione e riempiendo l’ultima casella dei campionati dilettantistici. Serie D, Terza Categoria, Promozione: un saliscendi con la passione come “fil rouge”: “Sono contento della mia carriera, se posso chiamarla così. L’ho fatta partendo dal basso, da solo senza aiuti”.

Tanti allenatori in carriera ma D’Annibale è quello che lo ha segnato di più: “Mi ha dato fiducia. Mi ha preso negli Allievi e fatto esordire in Eccellenza. Era molto “militare” nel suo modo di gestire la squadra, ma giocare a fianco di calciatori che magari avevano fatto la Serie C è stato formativo al massimo. Il calcio non era nemmeno solo un gioco era quasi una professione. Avevo a fianco giocatori come Latini e altri che sono stati dei maestri per me. DAnnibale ci faceva lavorare fino allo sfinimento. E certe sue caratteristiche le ho ritrovate in Serrau. Andrea ti dà “garra”, è molto sanguigno, ti carica molto, ti porta a fare cose con la sua forza di volontà. Mi trovo bene con allenatori così, è un calcio che mi identifica. E vedo come sono cresciuti alcuni giovani rispetto all’anno scorso: uno come Calbi oggi ha tutta un’altra “cattiveria” sportiva”.

C’è stata anche una sliding door nella carriera di Simone. Oltre a una parantesi alla Pistoiese, soprattutto un provino di tre giorni a Bogliasco con la Samp, con la Primavera di Fulvio Pea. Insieme ad altri giocatori classe ’89 e ’90 come Poli, Fiorillo, Marilungo, Koman che sarebbero diventati campioni d’Italia di categoria e avrebbero giocato in Serie A: “Per fare il salto nel professionismo a volte ci vuole anche un po’ di fortuna magari e la capacità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto e pronti all’appuntamento. Come Laverone o Pavoletti che ho incrociato sui campi. Ma io ho sempre seguito testa e cuore nelle mie scelte e non ho rimpianti. Ho seguito il cuore quando ho deciso di giocare in Terza a Bagno a Ripoli con gli amici. E ho seguito il cuore quando mi ha chiamato il Lebowski e ho sentito subito di aver fatto la scelta giusta”.

Gabriele Fredianelli

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