Sette giorni fa ci lasciavi. Da quel giorno ci hai cambiati. Ho cercato di allontanarmi dalle cronache: è un dolore non mio, non nostro, mi dicevo, ma della tua famiglia, della tua bambina, della tua compagna, dei parenti più prossimi e di chi davvero ti conosceva di persona.

E inconsciamente non volevo forse nemmeno riaprire un cassetto che sto provando con fatica a tenere chiuso, stipato di ricordi ancora lancinanti di un giovane amico che mi ha da poco lasciato.

Del resto siamo anche questo: l’istinto ci porta a guardare altro, a provare a eludere. Sennò cosa ci darebbe la forza per continuare a credere nel domani, a fare figli, a investire sulle nostre emozioni?

Ma non ci sono per niente riuscito, non riesco a staccarmi dal tuo pensiero, Davide, e dalle riflessioni forse gonfie di retorica.

Quella di domenica 11 marzo è stata una giornata irreale. Lo stadio era un teatro e la partita, insieme al pubblico, una recita tremendamente autentica. Tutto il mondo ha pianto con noi. Una assurda, emozionante e commovente rappresentazione della vita, il cui finale per te è arrivato prima che per noi.

Una catarsi collettiva che ci ha restituito come parte di un qualcosa. Un qualcosa che forse potrà portarci fuori dalla melma della sofferenza di queste ore.

E che possiamo offrire ai tuoi cari e al tuo ricordo: la nostra comunità, il nostro mondo, la nostra città, che era anche la tua città, che era anche il tuo mondo, che era anche la tua comunità. Questo è il qualcosa.

Allo stadio, alle esequie accanto alle urne dei forti e al pianto di un popolo in Santa Croce giovedì scorso, ai cancelli del Franchi con sciarpe viola, biglietti e fiori, è davvero successa una cosa che non ho mai vissuto e mai visto prima e che forse potrà davvero consolarci, noi e i tuoi cari: Firenze, noi Viola, il calcio tutto, ci siamo fatti muro e radice.

Sì: un solido muro dove poter piangere e col quale aiutare a ricostruire chi altro non vorrebbe che cadere distrutto dal dolore; radice perchè una culla silente dove rintanarci, una mamma che accarezza, un raccoglimento intenso, serve sempre.

Perché i rami, caro Davide, ora sono spogli, l’aria pesa, il cielo tetro, il vuoto orrido, ma i tuoi semi alligneranno, erano forti, sono vivi, saranno eterni.

Questo lo voglio credere. Buon viaggio, Davide. A te, ma anche a tutti noi, da oggi per sempre cambiati. In eterno, il tuo muro e radice.

Francesco Sorelli (Il Bisarno oltre la Sieve)

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